Aveva appena finito di twittare i complimenti a James, perché LeBron gli aveva portato via il ruolo di terzo marcatore di tutti i tempi della Nba. Se n’è andato in fretta, lasciando il mondo attonito e senza parole, Kobe Bryant. Bryant, non solo il quarto marcatore Nba di tutti i tempi, ma uno dei più grandi di sempre. Un incidente in elicottero, ieri attorno alle 19 a Calabasas, California. Lo schianto, le fiamme: nessun sopravvissuto. Né Kobe, icona del basket, né le altre otto persone che erano con lui: tra loro la figlia Gianna Maria, 13 anni e un altro giocatore di basket di cui non si conosce ancora l’identità. Secondo le prime ricostruzioni nella zona dell’incidente c’era una fitta nebbia che avrebbe ostacolato le manovre del pilota. Kobe e la figlia Gianna Maria dovevano raggiungere il centro sportivo che Kobe utilizzava come «Mamba Academy» per allenarsi. «Black Mamba» era uno dei suoi soprannomi: letale, in partita. Uno cresciuto nel mito di Michael Jordan, con l’idea fissa di emulare e superare il maestro, con cui aveva duellato all’inizio della carriera. Kobe aveva solo 41 anni, era nato a Filadelfia il 23 agosto 1978, ma aveva vissuto tanti anni in Italia, al seguito di papà Joe, uno dei migliori marcatori del nostro campionato. Vent’anni da assoluto protagonista, scelto dai Charlotte Hornets, pur senza esperienza nel campionato universitario e subito scambiato con i Lakers. Con la maglia gialloviola dei Los Angeles Lakers un amore infinito, dal 1996 al 2016. Vent’anni tutti d’un fiato, con l’idea fissa di diventare il migliore. Cinque titoli Nba, i primi in coppia con Shaquille O’Neal e, in panchina, Phil Jackson. Le litigate, le incomprensioni per stabilire chi, tra lui e Shaq, fosse il più grande e indispensabile. L’unico ad avere due maglie ritirate: la numero 8 e la 24, sempre con i colori dei Lakers. In mezzo a una carriera che l’aveva portato a vincere due ori ai Giochi (Pechino 2008 e Londra 2012), la famiglia. La moglie Vanessa e i quattro figli, Gianna Maria, Natalia, Bianca e l’ultimo Capri, nato lo scorso anno. La notizia rilanciata da Tmz fa il giro del mondo in un lampo. Le immagini di un incidente con l’elicottero, il mezzo con il quale spesso si spostava per raggiungere lo Staples Center, l’impianto di Los Angeles. Un incidente come quello di Drazen Petrovic (in auto), lo sgomento degli italiani nella Nba. «È il mio idolo», twitta Danilo Gallinari. «Il mio eroe», gli fa eco Marco Belinelli. Anche Donald Trump ha commentato: «È una notizia terribile». E anche Obama: «Una leggenda, ho il cuore spezzato anche come padre, sapendo che con lui è morta anche la figlia». Sempre legato all’Italia (tifoso del Milan), con l’idea, folle ma non troppo, di Claudio Sabatini, di portarlo alla Virtus Bologna. Perfezionista all’inverosimile e quasi maniacale in palestra. Duro perché solo con la durezza mentale si può sopravvivere a certi livelli – Kobe viaggiava ad altezze stratosferiche – in Nba. L’ultimo anno, paradossalmente, il più bello. Già, perché essere ricchi, belli e famosi spesso comporta l’altra faccia della medaglia. Essere invidiati, peggio, detestati. Nel 2016, invece, tutti d’accordo. Tutti in fila, per vederlo, applaudirlo, osannarlo. Uno dei più grandi, strappato alla vita, con le immagini choc che fanno il giro del mondo. Resta il suo sorriso, eterno ragazzo dei canestri, che ci ha fatto innamorare di questo sport.
fonte: Qn