di Luisa Scorciarini Coppola
Martedì 29 dicembre alle 21 il Circolo della Lettura, nell’ambito del ciclo “Leggo quello che mi pare” dedicherà la serata ad una scrittrice che si taglia come un gigante nel panorama delle lettere del XX secolo: Marguerite Yourcenar. Lo spunto sarà la lettura di un romanzo che, insieme a Memorie di Adriano, ha costituito l’opera di una vita: “L’opera al nero”.
Iniziato nel 1930 con il titolo di “D’après Durer” il racconto che poi costituirà l’embrione de “L’opera al nero”, pubblicato solo nel 1968, trae ispirazione da un dipinto di Durer Melancholia che raffigura un uomo sprofondato nelle sue riflessioni in mezzo ai suoi strumenti.
Introdurrà la serata Luisa Scorciarini Coppola, ma grande spazio sarà lasciato ai molti soci che hanno amato profondamente la scrittrice e le sue opere.
Ambientato in una Europa del 1500 profondamente dilaniata dalle dispute religiose, “in un’epoca in cui l’uomo ha difficoltà diventare uomo” secondo una definizione in cui la stessa Yourcenar riconosceva la sua opera, il romanzo è incentrato sulla vita di Zenone, personaggio ispirato a Leonardo, Paracelso, Serveto, Campanella e Copernico.
Zenone è uno scienziato a tutto tondo a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. E’ un uomo che rifiuta di mettere Dio e le verità rivelate al centro del modo. E’ un uomo che incarna la Citazione di Pico della Mirandola adottata come incipit: “Non ti diedi né volto, né luogo che ti sia proprio, né alcun dono che ti sia particolare, o Adamo affinché il tuo volto, il tuo posto e i tuoi doni tu li voglia, li conquisti e li possieda da solo… Non ti ho fatto né celeste, né terrestre né immortale affinché da te stesso, liberamente, in guisa di buon pittore o provetto scultore tu plasmi la tua immagine” (De hominis dignitate). La sua vita è concepita come opus che lo spinge a lavorare ogni giorno per costruire il proprio sé, per dissolvere attraverso l’Opera al nero (uno stadio alchemico), tutte le nozioni e i pregiudizi e raggiungere uno stadio superiore della propria coscienza. Come ci racconta l’autrice nella sua nota al testo “la formula dell’opera al nero nei trattati alchimici designa la fase di separazione e dissoluzione della sostanza che era la parte più ardua della Grande Opera. Ancor oggi si discute se l’espressione si riferisce a audaci esperimenti sulla materia o simbolicamente ai travagli dello spirito nell’atto di liberarsi dalle abitudini e dai pregiudizi. Con ogni probabilità essa è servita a indicare alternativamente o simultaneamente l’una e l’altra cosa”.
Le tappe fondamentali della sua vita concepita come opus danno il titolo ai tre capitoli del romanzo la vita errante, la vita immobile e la prigione.
Avviato precocemente alla carriera monastica, decide di lasciare il percorso già segnato per lui, la via maestra- “Ho vent’anni nel migliore dei casi mi aspettano 50 anni di studi prima che questo cranio si cangi in teschio…Per me si tratta di diventar più che un uomo”. Dall’abbazia, egli vede che “la vita mura i folli e apre un pertugio ai saggi”, sente di avere una missione da compiere. Sente che il mondo è grande c’è tanto da scoprire “Ovunque le valli dove si colgono i semplici, le rocce in qui si celano i metalli, ciascuno dei quali è il simbolo della grande opera. Chi sarà tanto insensato da morire senza aver fatto perlomeno il giro della propria prigione?”.
Sente di avere una missione, quella di mettere il suo intelletto al servizio dell’uomo. Si definisce un viandante, ma il suo scopo è la conoscenza. Nel corso dei suoi ozi estivi esplorerà la foresta intorno alla casa natia di Brouges e scrutando gli astri che scintillano tra le cime degli alberi, “pensò a Pitagora a Nicolò Cusano e a Copernico le cui teorie recentemente esposte venivano accolte con fervore o violentemente contraddette nella scuola e un moto di orgoglio lo colse all’idea di appartenere a quell’illustre e inquieta razza d’uomini che domesticano il fuoco, trasformano la sostanza delle cose, scrutano i cammini degli astri”. La vita lo rende presto consapevole del fatto che i progressi nelle scienze e nelle tecniche possono avere conseguenze sociali diverse a seconda dell’impiego che si fa delle conoscenze acquisite. Lavora da ingegnere ai primi telai, pone le basi per quella prima rivoluzione industriale che provocherà l’affermazione della borghesia, e farà la fortuna del suo casato i Ligre, commercianti presto divenuti banchieri. Ma sarà testimone anche della disoccupazione tecnologica e della fame degli artigiani tessitori fiamminghi. Percorre un’Europa scossa da rivolte, da guerre religiose, dalla peste. Pratica l’alchimia, ma non per trasformare la materia in oro, ma per strappare alla materia i suoi segreti. Pratica la professione di medico alle corti dei re e dei principi, “Il denaro affluiva […] mi venivano forniti gli strumenti della mia arte e tra di essi il più raro e prezioso di tutti, la libertà di pensare e di agire a modo mio. Ma poi venivano i maneggi degli invidiosi, i sussurri degli sciocchi che mi accusano di bestemmiare il loro Corano o il loro Vangelo. Infine conviene spendere l’ultimo zecchino per comprare un cavallo o noleggiare una barca (p.679). E finisce per sua scelta per servire nel dispensario dell’ospizio di San Cosma nella natia Bruges curando un’umanità bisognosa e dolente. Lungo il suo cammino incrocia membri della sua famiglia, sempre tesi tra vita materiale e l’ispirazione a una dimensione metafisica, ad una aspirazione all’immortalità. Ma si tratta di personaggi privi di quel rigore che potrebbe permetter loro di percorrere fino in fondo le loro vocazioni. Sicchè la vita e la morte finiscono per farsi beffe di loro.
Nel suo peregrinare non smette mai di esercitare la sua libertà di espressione e continua a sperimentare anche a livello sessuale, oltre che scientifico e filosofico. Nella celeberrima conversazione di Innsbruck con l’amato cugino Henri-Maximilien, (uomo d’armi con aspirazioni poetiche, che morirà lascando che i suoi versi siano seppelliti dal fango di modo che anche per quella via la gloria gli sia negata), Zenone rivendica di non essere solo un medico. E’ un uomo conosce il suo corpo, i suoi limiti, sa che gli mancherà il tempo di spingersi oltre e la forza, caso mai il tempo gli fosse concesso. “Ma esso è in questo istante colui che è. So che sbaglia che erra, che spesso equivoca le lezioni che gli impartisce il mondo, ma so che ha in sé di che scoprire e talvolta rettificare i propri errori.” Una dichiarazione che equivale alla piena rivendicazione del metodo scientifico fondato sulla falsificazione di ogni sapere. “Mi sono guardato dal fare della verità un idolo, preferendo lasciarle il nome, più umile di esattezza. I miei trionfi e i miei repentagli non sono quelli che la gente s’immagina ci sono altre glorie oltre la gloria e altri roghi oltre il rogo. Sono quasi riuscito a diffidare delle parole. Morirò un poco meno sciocco di quando sono nato” . Non solo. E’ un visionario. Ha fiducia nelle capacità dell’uomo. Nega di saper fabbricare l’oro. “Ma altri lo faranno. E’ questione di tempo e strumenti adeguati per condurre a buon fine l’esperimento. Che è mai qualche secolo?”. L’ispirazione Leonardesca è evidente laddove prevede la costruzione di macchine per andare nell’aria e sott’acqua.
L’esercizio della libertà d’espressione gli vale l’accusa di eresia allorchè riprenderà l’azione giudiziaria del sant’Uffizio contro le sue Pronosticazioni. Si apre così una nuova fase dell’opus, racchiusa nelle pagine che portano il titolo della vita immobile. Zenone si nasconde sotto il falso nome di Sebastiano Theus, intento a rendersi invisibile e al tempo stesso a proseguire la ricerca della verità mettendo in discussione se stesso e il sistema di pensiero vigente. La sua dimensione spirituale è profondamente analizzata nel confronto con il Priore dei Cordiglieri. Un uomo malato che sembra incarnare l’aspirazione religiosa all’umiltà ed alla purezza francescana, che poco ha a che fare con la chiesa ufficiale dell’epoca. “Temo che voi non abbiate abbastanza fede per essere eretico”. In questi colloqui due menti sgombre da preconcetti si confrontano e si incontrano in quello che sarà il legame più forte tra Zenone ed un altro essere umano.Finita la sua missione di alleviare le sofferenze del priore, il suo istinto lo richiamerà alla fuga. Ma una volta raggiunta la duna rivive il ricordo di un momento felice. Una gita con sua madre Hilzonde e il suo patrigno Simon. La madre gli aveva dato il guscio di un uovo e “il gioco consisteva nel correre a favore del vento sulle dune vicine tenendo sul palmo quel lieve oggetto che sfuggiva per svolazzarti davanti, poi si posava un istante, come un uccello sì che bisognava di continuo tentare di riacchiapparlo e la corsa si complicava in tal modo di una serie di curve interrotte e rette spezzate . A volte gli sembrava di essersi dedicato a quel gioco tutta la vita ”.
Pocoprima di imbarcarsi Zenone rinuncia alla fuga. Si immerge in acqua, “nudo e solo, le circostanze gli cadevano di dosso come gli abiti[…]la violenza del flutto era senza collera. La morte sempre oscena tra gli uomini era pulita in quella solitudine ” Ma l’ora del trapasso non era ancora suonata. “Il suo cammino sarebbe stato fino in fondo tra gli uomini. Bisogna mettersi al riparo da loro ma anche continuare a ricevere servizi e a renderne”.
Tornando sui suoi passi uno Zenone purificato è consapevole di consegnarsi alla giustizia umana. E infatti cadrà nella trappola tessuta dai disordini della carne ai quali lui di parte sua non ha mai voluto cedere. Viene consegnato nelle mani della giustizia ma si presenterà stupendo tutti, dichiarando il suo vero nome. Inizia la parte più densa del romanzo, La Prigione sulla quale è stata incentrata la riduzione cinematografica ad opera di André Delvaux, interpretata da un grande Gian Maria Volontè, disponibile su youtube (https://www.youtube.com/watch?v=VALuPjBY6no). Da queste pagine emerge chiara l’ispirazione della Yourcenar al pensiero di Campanella e di Giordano Bruno. Il tema è la ragione dell’uomo contro l’oscurantismo della controriforma. Cadono le false accuse che l’hanno portato in prigione come Sebastiano Thues, ma resta in piedi la condanna per ateismo come Zenone Lingre per aver messo in discussione le verità rivelate e non aver messo Dio al centro dell’universo. “In un certo senso tutto era magia: magica la scienza delle erbe e dei metalli che permetteva al medico di influire sulla malattia e sul malato; magica la malattia stessa, che si imponeva al corpo come possessione da cui esso a volte si rifiutava di guarire […]. Il prestigio alonante dalle cerimonie della chiesa era magia e magia i neri patiboli […]. Magici infine l’amore e l’odio che imprimono nei nostri cervelli l’immagine di un essere da cui acconsentiamo a lasciarci ossessionare […]. Monsignore scosse pensoso il capo: un universo siffattamente organizzato non lascia più posto alla volontà personale di Dio”.
Sono il suo approccio filosofico, la sua ostinata coerenza al dubbio ed alla falsificazione, non i suoi istinti di uomo, le sue debolezze, che lo perdono. “Se il filosofo rinnegato che tuttavia non rinnegava nessuna delle sue effettive credenze, era per tutti loro un capro espiatorio, lo si doveva al fatto che ciascuno un giorno, segretamente, o talora persino a sua stessa insaputa aveva agognato uscire dal cerchio in cui sarebbe morto rinserrato. Il ribelle che si levava contro il principe provocava negli uomini d’ordine alcunchè di simile alla stessa invidiosa furia: il suo no scherniva il loro incessante si. Ma i peggiori di quei mostri che pensavano autonomamente erano coloro i quali praticavano qualche virtù: facevano assai più paura allorchè non li si potesse disprezzare senza residui”. Il dibattito con il cupo procuratore di Fiandra Pierre Le Cocq ricorda molto da vicino quello tra Galileo Galiei ed il cardinale inquisitore Bellarmino rievocato da Brecht e poi da Karl Popper in Scienza e Filosofia. Ciò che è in discussione è il potere e l’anelito della chiesa della controriforma ad essere l’unica vera portatrice del verbo, così negando la possibilità di falsificazione di ogni umana credenza.
Gli verrà offerta la scelta tra abiura e rogo. Ma Zenone ancora una volta deciderà per l’autodeterminazione della propria esistenza contro la ferocia dell’ordine costituito. L’atto profondamente eversivo di togliersi la vita è descritto con il rigore del medico. Infine, “negli ultimi istanti ogni angoscia è cessata: era libero, l’uomo che veniva a lui non poteva essere che amico”.
Martedì sera avremo la fortuna di condividere lo stupore e il fascino della lettura di un’opera appassionante. Se volete unirvi a noi nell’esplorazione scriveteci a info@circolodellalettura.it o su Facebook a “Le parole che ci salvano”.