L’incipit di Un telegramma da Settembre (Sellerio) di Maurizio de Giovanni lascia presagire tutta la brillantezza del racconto. E c’è da domandarsi cosa di meglio potrà riservarci l’autore che sul suo profilo personale di Facebook dice di avvertire “un senso di terribile inadeguatezza” leggendo McBain mentre sta scrivendo.
In un libro sono solita sottolineare le frasi più belle e in quelli che più amo centellinare le ultime pagine per allontanare il momento del distacco. Ebbene in questo racconto è impossibile: la matita scorre veloce sui paragrafi e le pagine si divorano raggiungendo rapidamente la fine.
Ogni paragrafo è costruito con una maestria tale da farci nel contempo sorridere e rammaricare. Attraverso le vicende personali e professionali della protagonista, Mina (Gelsomina), un’assistente sociale sulla quarantina, si mostrano tutte le contraddizioni e problematicità di una città, Napoli, sempre sfondo e protagonista degli scritti di de Giovanni, ma anche del nostro Paese e dei nostri tempi.
Emerge qui, in primis, il futuro incerto dei giovani e il pericoloso confine tra la scelta, che sembra predestinata in alcuni contesti, verso il mondo criminale e ai suoi apparenti facili guadagni, e lo studio e il lavoro onesto, compresso dalla vessazione del precariato. E un destino che più dall’impegno viene guidato da un evento fortuito e superficiale, come il partecipare a un reality di una trasmissione televisiva locale.
Quindi, per rispondere alla domanda di de Giovanni, che sempre in Facebook chiede ai suoi lettori se abbiano ancora voglia di leggere di questa protagonista, la risposta non può che essere sì, anche se forse desideriamo solo leggere di lei, Maurizio, e amiamo indistintamente tutti i suoi personaggi, siano essi Ricciardi, Lojacono, o Mina. Grazie.