La chiesa del Gesù Nuovo a Napoli è un capolavoro di arte barocca che si affaccia sulla Piazza del Gesù, una delle piazze più belle del centro di Napoli. La chiesa è famosa da sempre, oltre che per il suo interno sontuoso, anche per i tantissimi ex voto dedicati a San Giuseppe Moscati, noto per i numerosi episodi di guarigioni miracolose. Di recente, però questa chiesa è diventata celebre anche per un mistero che riguarda la sua impressionante facciata, un mistero finalmente svelato dallo storico dell’arte Vincenzo De Pasquale.
Le imponenti mura in pietra scura che affacciano sulla piazza sono la “carta” sulla quale è scritto questo mistero ed è forse l’elemento più antico della struttura stessa. La sua superficie in pietra scura (che tecnicamente si chiama piperno), presenta la forma caratteristica del bugnato: si tratta di una tecnica molto antica, mai caduta in disuso sebbene si sia modificata nel tempo, che consiste essenzialmente nella sovrapposizione di grossi blocchi di pietra lavorati in modo che ogni singolo blocco risulti aggettante, contribuendo a conferire grandiosità alle strutture dove viene impiegato. L’effetto ottico prodotto dal bugnato è, in pratica, quello di una serie di elementi che “escono fuori” rispetto ai giunti orizzontali e verticali dei singoli blocchi. Tra le tante tipologie di bugnato, quella adoperata per la Chiesa del Gesù nuovo è il cosidetto bugnato “a punta di diamante”, cioè quel tipo di lavorazione a blocchi dai quali sembrano fuoriuscire tanti “punteruoli” di base quadrata, simili appunto a diamanti. L’effetto complessivo della parte frontale del Gesù Nuovo è talmente suggestivo che, anni fa, venne persino scelta per decorare il retro dei pezzi delle diecimila lire italiane.
Nessuno, però sospettava che questa chiesa nascondesse anche un mistero “musicale”
Tutto comincia più di dieci anni fa, nel 2005, quando Vincenzo De Pasquale, insieme con Salvatore Onorato, si rende conto che i singoli blocchi di pietra nera vulcanica che compongono la facciata del Gesù nuovo recano delle tacche, dei segni che non hanno una funzione precisa. In principio, De Pasquale è convinto che si tratti di simboli indicanti la specifica cava dalla quale proviene ciascun blocco: è così che architetti e storici dell’arte hanno sempre spiegato quelle incisioni grandi circa dieci centimetri. Continuando a indagare, De Pasquale scopre che altre interpretazioni avevano visto in questi segni dei simboli alchemici e messaggi occulti probabilmente legati all’arte dei maestri pipernai. Alcuni avevano ipotizzato che al palazzo fosse legata una qualche sorta di maledizione, visto anche il destino tormentato dell’edificio e i cambi di proprietario e di destinazione che ne avevano caratterizzato la storia.
Queste interpretazioni non convincono i due studiosi, che decidono di fare una vera e propria “mappatura” della decorazione esterna dell’edificio.
Ed è proprio grazie all’accurato studio di ogni singolo blocco di pietra e ad una ricostruzione grafica precisissima che i due storici scoprono che quelle incisioni sono lettere dell’alfabeto aramaico
L’alfabeto aramaico è l’alfabeto di una lingua semitica vecchia più di tremila anni che, insieme con il greco, era la lingua parlata in Palestina all’epoca del Cristo; si tratta di un sistema di ventidue caratteri la cui grafia è molto simile a quella dell’alfabeto ebraico.
Sui blocchi del bugnato, però, si ripetono solo pochissime di queste lettere: precisamente, si tratta di sette lettere che ricorrono, in vario ordine, percorrendo i singoli elementi da destra a sinistra e dal basso verso l’alto.
De Pasquale e Onorato hanno un’intuizione: e se si trattasse di un codice?
L’ipotesi si rivela corretta: dopo vari tentativi, i due storici dell’arte scoprono che le sette lettere che si ripetono apparentemente senza un ordine sulla parete esterna della chiesa rappresentano, in realtà, le sette note musicali. La facciata di una delle più belle e antiche chiese di Napoli è un enorme spartito che da secoli si trova sotto gli occhi la osserva ignaro.
Del resto, sembra che già nelle decorazioni del palazzo Sanseverino fossero presenti alcuni simboli musicali, quasi a fornire la chiave del segreto nascosto nella sua decorazione, e in omaggio al gusto dei primi occupanti dell’edificio la parte esterna del palazzo altro non è che la partitura di un concerto di circa tre quarti d’ora per strumenti a plettro in stile gregoriano. Molto probabilmente, il segreto del palazzo si è perso negli anni e nel cambiamento della destinazione d’uso dello stabile, forse anche grazie alla severa censura artistica del periodo della Controriforma. La partitura, individuata da De Pasquale e Onorato, è stata poi ricostruita grazie al lavoro congiunto di due studiosi ungheresi, il musicologo Lòrànt Réz e l’esperto di aramaico, il gesuita Csar Dors, ed ha preso il nome di Partitura “Enigma”. La partitura Enigma viene oggi eseguita con l’organo, restituendoci una melodia segreta di centinaia di anni che ha saputo sfuggire al tempo e alla censura, una melodia che i primi costruttori del palazzo amarono a tal punto da volerla immortalare per sempre nella pietra scura del loro palazzo.