Maradona al San Carlo, Maradona al Bernabeu, il capello di Maradona venerato come una reliquia nel bar di piazzetta Nilo, Maradona e il murales da realizzare a San Giovanni a Teduccio. Comunque sia, accada quel che accada, il filo che lega le pagine del libro di Napoli passa sempre, passato o futuro, per i lacci delle scarpette del Pibe de oro. Ha ragione allora Giampiero Mughini, che di recente ha stuzzicato i napoletani invitandoli a non esasperare la venerazione del piede sinistro più famoso al mondo? E quindi a ragionare con la testa e non coi piedi? Il Sudonline.it lo ha chiesto a Donna Marianna, alias ‘a capa ‘e Napule.
Marianna, Capa e Napule. Uno pseudonimo dietro il quale si cela… Chi?
Non lo dico nemmeno sotto tortura.
Donna Marianna, non può fare questo a noi. In quanto giornalisti, si sa, il virus della curiosità lo abbiamo nel midollo spinale…
Facciamo così: lo pseudonimo cadrà… quando il Napoli vincerà il terzo scudetto… Il primo degli anni Duemila.
D’accordo. Sia di buon auspicio. Ha visto Maradona passare dal San Carlo al Bernabeu?
Al Bernabeu è a casa sua, ovvio. E’ al San Carlo che è sembrato fuori di posto. Io penso che Maradona al San Carlo abbia segnato una svolta nella simbologia di Napoli. L’evento è stato importante non tanto per i ricordi e le nostalgie suscitate, ma perché ha segnato una salutare invasione di campo di un lazzaro nella terra dei signori. Una entrata a gamba tesa nel tempio della musica aulica. Una profanazione.
Per giorni non si è parlato d’altro, e non solo a Napoli. I più, alla Roberto De Simone, hanno stigmatizzato la serata che ha celebrato i 30 anni dalla conquista del primo scudetto.
Da outsider Giampiero Mughini ha ricordato che Napoli è anche altro, molto altro. Motivo per cui, ha dichiarato, è riduttivo ricondurre i valori di Napoli al calcio e al mito di Maradona.
Mughini parla come uno che non conosce bene i napoletani. Anzi parla come se Napoli e i napoletani fossero della stessa pasta di qualunque altra città e popolo del mondo.Viceversa i napoletani sono espressione di una pasta umana il cui lievito giunge dal mondo classico, che andava tanto d’accordo con il mito. Mughini non sa, o sottovaluta, un dato essenziale. E cioè che Napoli viene posta dinanzi alla scelta tra mito e realtà, mito e logica, mito e ragione… Beh, essa svolta sempre dalla parte del mito. Per questo non è compresa né condivisa. Il mondo ha da tempo mandato in esilio il mito, sostituendo il pressappoco con la precisione, l’immaginazione con la ragione, l’invenzione con la regola. A Napoli il mos viene sempre prima ed è sempre al di sopra della lex. Napoli è genio e sregolatezza.
Spieghiamo meglio. Qual è la differenza che separa Napoli dalle altre città?
Altrove il mito è stato declassato a credenza arcaica, superstizione, cascame del pensiero.
Mentre a Napoli?
Napoli è una ingiuria alla ragione che impone un codice sociale. E questo perché è la città – se non l’unica, una delle poche al mondo – in cui gli dei antichi hanno trovato asilo. Gli stessi dei che sono divenuti vetusti e che sono decaduti dinanzi alla razionalità elevata a dogma, la tecnologia trasformata in religione, l’economia divenuta un mantra. Tutti aspetti dinanzi ai quali la città mantiene, in cuor suo, un atteggiamento un po’ sfrontato di ironia e compassione.
E Maradona come c’entra in questo contesto?
Come il cavolo a merenda. C’entra perché lui è come il figlio di dio (del dio calcio) che si è fatto uomo. Anzi, si è fatto napoletano, fino al punto da essere riconosciuto tale più dei nativi di Santa Lucia o del Borgo Sant’Antonio. E questo per il suo soma – basso di statura, tendenzialmente tarchiato, ricciulillo assai – ma anche per il suo modo d’essere “smargiasso”, e persino per il modo di vivere alquanto “esagerato” che lo distingue. Maradona è diventato una cosa sola con Napoli. Più o meno come o guaglione d’o vascio affianco, il ragazzo che abita nel basso accanto…
E’ per questo che a Napoli gli hanno perdonato tutto?
I napoletani sono tolleranti verso le fragilità di chi “viene da fuori”. Costui è straniero, estraneo, quindi è normale che sia anche strano, che abbia fragilità e debolezze. Sono invece molto meno inclini a tollerare le fragilità dei propri concittadini, specie se questi hanno lasciato la città e tentano (e trovano) la fortuna fuori.
A distanza di tempo, qual è il suo giudizio sullo show al San Carlo?
Le critiche si sono appuntate su due aspetti diversi. In primo luogo verso chi ha osato profanare il tempio aulico e solenne della musica. E’ il teatro in cui il giovane Mozart bramava di poter suonare e infatti per secoli è stato un traguardo ambito dai musicisti che lì cercavano consacrazione.
Che cosa è cambiato?
Intanto il San Carlo viene ultimamente utilizzato sempre più spesso per iniziative convegnistiche, sfilate di moda, eventi di natura ben diversa dalle finalità per cui è nato. Si ricordi che è stato preso in fitto anche per ospitare l’assemblea degli industriali partenopei quando alla guida dell’associazione c’era Gianni Lettieri, e Berlusconi presidente del Consiglio.
E quindi?
Quindi è davvero complicato sostenere il principio che esso andasse tutelato (e cioè non assegnato) alla richiesta per la festa al calciatore. In nome di un malinteso senso della conservazione dei Beni artistici, che si spinge fino alla imbalsamazione dei luoghi.
Poi c’è stata la critica di Mughini…
Sì. Napoli, ha dichiarato, è tante altre cose importanti, molto più importanti di Maradona. Evidentemente parlava come uno da sempre sconnesso con la vita napoletana al presente. Non è una colpa, certo, semmai è la conferma che capire Napoli è difficile per tutti.
Anche per Mughini…
Mughini non è certo il solo ad avere nei seni della memoria la sacralizzazione di Maradona tentata con il Te Diegum, il libro e il club che riunì alcuni intellettuali di Napoli i quali hanno preso ad accostare Maradona ai grandi miti della città con le iperboli più barocche: Maradona come San Gennaro e alla Madonne dei miracoli, Maradona come Masaniello. Ma questa non è napoletanità, è “napoletaneria”. Una stucchevole decalcomania. Un modo di raccontare la Napoli pittoresca e un po’ farsesca, una maschera che sta alla città vera come Scarpetta stava al teatro sanguigno e suffegno, solforoso e vulcanico di Viviani.
La città vera, come lei dice, su quali posizioni sta?
Ha digerito il fenomeno Maradona molto bene, tenendo distinto il campo sul campo e l’uomo fuori il rettangolo di gioco. E non si aspetta da lui, se mai indosserà i panni di ambasciatore del Napoli calcio, alcun miracolo.
E’ sempre colpa dei giornalisti, allora?
Inevitabilmente, quando si ha più o meno un’ora per consegnare un pezzo e passare ad altro, ci si ferma alla prima stazione aperta a fare rifornimento. E non si guarda alla qualità del carburante. Ma il cliché, lo stereotipo, la ripetizione, l’abitudine non sono il vero problema.
E qual è invece il vero problema?
Il vero problema è pretendere che questo racconto sia reale. Sarebbe come credere che, siccome esiste San Gregorio Armeno, ogni napoletano è un pastore da presepe. E’ uno strano gioco di specchi quello che da sempre oppone i napoletani, che tendono alla enfatizzazione per vezzo o per spasso, e quindi truccano un po’ le carte, e i “forestieri” che li prendono sul serio. Mughini non è andato al di là di quella incredulità stordita di chi osserva le cose di Napoli con occhio “razionale” e non ci capisce molto. Ma faceva così anche Giorgio Bocca, anche Arbasino. Fanno così tutti i templari del giornalismo colto e raffinato, puntualmente spaesati dinanzi alle manifestazioni irrazionali della “napoletanità”.
Quindi è un errore guardare Napoli inforcando le lenti della ragione?
Certo. Osservandola dall’alto della regola, di una norma che per definizione è sempre uguale a sé stessa, non si può che disapprovarla. Senza giungere al battito cardiaco della città, al suo respiro sanguigno. Non si capisce che la serata al San Carlo è stato un tributo a Maradona, non la sua santificazione. Nessun napoletano ha bisogno di farsi suggerire le forme del pensiero, da Maradona o da chiunque, perché ognuno è una enciclopedia ambulante del mestiere di vivere
Ma se Maradona non è più un idolo del luogo, perché in tanti angoli della città si celebra ancora come uomo della Provvidenza?
Si tratta di una recita, una enfasi teatralizzata, di un modo per sorridere o strappare una risata. Ciò facendo, i napoletani non si prendono affatto sul serio. Sono quelli guardano da fuori che, al contrario, li prendono in parola. Perché un napoletano è pericoloso. Potrebbe dire la verità. Meglio, molto meglio se fa ridere.
Napoli ha posto Maradona nel suo pantheon ideale, questo non si può negare…
Appunto. E’ un pantheon. Non c’è un solo dio. C’è Maradona, ma non è certo il solo. Maradona anzi è l’ultimo arrivato. Napoli è politeista nel dna. Deve al suo patrimonio fondativo un marcato paganesimo, politeista, poi incapsulato nel monoteismo della religione ufficiale. Il modo d’essere cristiani dei napoletani è assai sui generis: include una spiccata devozione ai Santi, alle figure del Purgatorio e persino alle cape ‘e morte del cimitero delle Fontanelle. Totò, i de Filippo, Nino Taranto, Troisi, Sofia Loren, Renato Carosone, Pino Daniele sono espressioni di una simbolica a struttura plurale.
La maradonite è la malattia infantile della napoletanità?
Ma come si fa a rimproverare i napoletani di “maradonite” se per mesi hanno celebrato Pino Daniele ed ancora continuano a farlo. Da ultimo anche nel Museo archeologico con Teresa de Sio che canta le sue canzoni dinanzi nella sala Mann?
Maradona però sta sopra tutti…
Nient’affatto. Maradona sta alla pari degli altri. Se ha qualcosa di speciale è il fatto che è diventato napoletano pur venendo, come il Papa, dalla “fine del mondo”. E’ uno straniero che, come dicevo, è calato completamente nella napoletanità con un percorso rapidissimo e irreversibile. Fino alle viscere, fino al lato oscuro. Tutta l’infanzia di Diego si è svolta in un barrìo non molto diverso dai quartieri napoletani fatti di vicoli e bassi. Il comune denominatore è stata la sofferenza, la fame. Diego è un lazzaro. E in quanto tale è in totale aderenza allo spirito della napoletanità, che adora i santi “alieni”, venuti da lontano, come San Gennaro e Santa Patrizia.