L’artista Natali Ferrary recentemente ha donato il suo bel dipinto “Parthenope” (cm 80, tecnica mista acrilico e resina su tela, 2021) all’importante e prestigiosa location di Napoli Villa Domi con una finalità d’importante beneficenza.
Il curatore dell’artista, Giuseppe Ussani d’Escobar era presente all’iniziativa e riporta la foto dell’opera, con il testo dedicato al soggetto della tela: la sirena Parthenope.
Rivisitare i miti è sempre un rischio, ma è vero anche che rappresenta una sfida sempre eccitante e nuova; ben lo sappiamo che gli artisti amano giocare, e questo accade in modo particolare nella Pop Art dove la provocazione è di casa. La sirena Pathenope, togliendosi la vita, ha donato con la sua morte il nome alla città di Napoli, naufragando infine alla foce del fiume Sebéto, per la delusione di non essere riuscita a sedurre Ulisse con il suo canto. Un’altra leggenda narra che Orfeo aveva superato lei e altre due sue amiche sirene nel canto e che nessuna di loro aveva sostenuto la sconfitta, e affrante, avrebbero commesso suicidio.
Parthenope ha trovato il suo estremo riposo sull’isola di Megaride dove sorge il magnifico Castel dell’Ovo. Certamente, per sua ultima dimora, la Sirena ha scelto uno dei luoghi più belli e romantici di Neapolis.
La leggenda vuole, testimoniata dall’antica Fontana della Spinacorona nel cuore di Napoli, che Vesuvius, un fiero centauro, si fosse perso d’amore per Parthenope, e Zeus, al solito molto sensibile al fascino femminile, e geloso delle donne di cui s’incapricciava, avrebbe deciso di trasformare il malcapitato Vesuvius nel famoso vulcano che sovrasta Neapolis: da quel momento Vesuvius, estremamente irritato per l’accaduto e per il fatto che il sovrano degli dei gli abbia sottratto la bella sirena, “fa fuoco e fiamme”, eruttando lava e lapilli, nel mentre la povera sirena spegne i possibili incendi con l’acqua che versa copiosa dai suoi seni.
Questa è davvero Napoli nella sua materia e nel suo spirito: una sirena che si è per sempre sdraiata lungo le rive del golfo con alle sue spalle un vulcano brontolone che brucia incessantemente di passione per lei; la Napoli del Grand Tour, così frequentemente immortalata nelle gouache del vedutismo napoletano con il Vesuvio e la sua baia, sempre sospesa, città magnificamente onirica, tra aria, acqua e fuoco, tra dolcezza e passione degli elementi. Napoli sempre precaria e fragile, ma entusiasta e forte, amante della vita, della musica e dei colori: Il canto delle sirene è la voce del mare che sospira il suo amore per Vesuvius.
Andy Warhol, grande artista pop di origine ucraina, esattamente come la nostra sirena Natali Ferrary, era stregato e follemente innamorato di Napoli che il grande collezionista e mercante d’arte Lucio Amelio gli aveva fatto conoscere e apprezzare. Warhol realizza in acrilico 18 tele con il nome “Vesuvius” dalle tonalità e sfumature sempre luminose, infuocate, brillanti e diverse per comunicare l’emozione e la sensazione di una continua eruzione dai cangianti colori.
La “Parthenope” di Natali abbraccia simbolicamente, da una collina che si affaccia sul Golfo di Napoli, dalla magnifica cornice di Villa Domi, il “Vesuvius” di Andy: questo amore eterno rifiorisce sulle pendici della bella e accattivante Neapolis che mai potrà finire di stupirci. Le labbra della seduttrice sirena affiorano dalla trasparenza dell’acqua in una visione di rigenerazione, sembrano emergere da un acquario movimentato dalla presenza di pesciolini rossi, la spuma del mare nasconde e rivela un volto che appare di colore … e questa raffigurazione permette d’intuire il volto di una naufraga esotica che, stremata da un canto appassionato di aiuto, si abbandona a un sonno e a un sogno letargico sulle rive del Mediterraneo: questa donna, con la sua disperazione e la sua sete di vivere, è la nuova Parthenope che Vesuvius attende, innamorato e brontolone.