Di Concetta Colucci
C’è un luogo fisico, un villaggio, vicino Bari, sulla via di Capurso, che novant’anni fa ha unito due popoli e le loro storie.
E’ il villaggio di Nor Arax, che nel 1924 accolse poco più di un centinaio di profughi armeni in fuga dal primo genocidio della storia moderna, durante gli anni ricordati come quelli del “grande crimine”.
Migliaia di persone, in fuga da Smirne, in fiamme dopo la conquista da parte dei turchi, furono deportate in campi di concentramento: da qui ottanta di loro vennero liberate, riuscendo ad essere imbarcate a bordo di una nave della società di navigazione “Puglia”.
Gli ottanta fortunati superstiti, approdarono a Bari, attraverso il Pireo, grazie al sostegno di un poeta armeno, Hrand Nazariantz, che prima di loro nella stessa città si era rifugiato nel 1913 salvandosi dalla sentenza di morte emessa per il suo impegno politico non gradito al potere. Gli altri intellettuali armeni rimasti in Turchia furono deportati in Anatolia e uccisi.
Un massacro perpetrato dal partito dei Giovani Turchi intorno al 1915. Furono circa un milione e mezzo le persone coinvolte nelle marce della morte e furono le vittime per le quali la Turchia non ha mai ammesso la definizione di genocidio, dichiarando quello un atto di difesa contro l’insurrezione del popolo armeno. Attualmente ventidue Paesi, fra cui l’Italia, riconoscono ufficialmente il genocidio. Stati Uniti e Israele non lo riconoscono.
A Bari, il “popolo che fu il più insidiato, il più perseguitato, il più tradito tra i popoli della Terra”, così come lo descrisse Nazariantz, trovò un pezzetto d’Armenia nel villaggio Nor Arax, la città che li ha accolti malgrado le precarie condizioni economiche in cui vivevano i baresi stessi e che oggi si fa portavoce della richiesta di riconoscimento, a livello internazionale, del genocidio del 1915.
Hrand Nazariantz, il poeta armeno, visse in Puglia, la terra che lo ospitò durante il suo esilio, fino alla sua morte, ma mai smise di pensare alla sua terra di origine e al popolo armeno. Questo popolo è stato l’unico nella storia a subire due genocidi, uno alla fine dell’800 e l’altro durante la Prima Guerra Mondiale, anticipando di qualche decennio lo sterminio ebraico.
Con il supporto economico del “Comitato Barese Pro Armenia”, Nazariantz riuscì a portare a Bari i suoi amici connazionali salvandoli da una morte atroce. Da esule in Italia lavorò senza tregua e con passione alla causa del suo popolo. La casa editrice Laterza creò per lui la collana “Conoscenza Ideale dell’Armenia” e lo nominò direttore. Numerosi intellettuali italiani e stranieri suggerirono la sua candidatura per l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura, che quell’anno, era il 1953, fu assegnato invece a Winston Churchill.
Il villaggio si chiama Nor Arax in memoria di Arax o Arasse, il nome del fiume che scorre alle pendici del monte Ararat che per quegli armeni che giunsero a Bari dal mare assunse un nuovo significato, divenendo il nome del villaggio che li avrebbe accolti e nel quale avrebbero vissuto insieme agli altri quaranta profughi che arrivarono in Puglia sei mesi dopo il primo sbarco.
Il villaggio di via Amendola a Bari, costituito da casupole in legno e cemento, diede modo agli armeni di avere una nuova vita in un luogo di pace e l’inclinazione al commercio dei baresi si unì alla antica tradizione della comunità armena di lavorare tappeti di alta qualità, in un clima di risolutezza che non si indurisce davanti al dolore. Questo luogo, di cui molti figli o nipoti degli anziani profughi continuano a mantenere vivo il ricordo, era costituito da una villa di campagna e da alcune casupole prefabbricate donate dall’Austria come pagamento dei danni dovuti all’Italia dopo la guerra. Negli anni a seguire a Nor Arax vissero circa 300 armeni in maniera completamente indipendente. La fabbrica di tappeti raggiunse il grande prestigio di arredare gli interni del treno reale di Vittorio Emanuele III e ancora oggi nel villaggio c’è chi continua a piantare e a curare, in mezzo alle case di nuova costruzione e al cemento, alberi di melograno, simbolo della Armenia.