L’analisi di Stefano Silvestri (IAI)
“La strada della diplomazia è tanto più indispensabile quanto più impervia è diventata”. Lo afferma Maddalena Tulanti nell’apertura di una conversazione con Stefano Silvestri, già presidente e oggi consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali. Laureata in Russo con il massimo dei voti all’Istituto Universitario Orientale di Napoli, Maddalena Tulanti ha fondato nel 2000 e diretto fino al 2015 il Corriere del Mezzogiorno Puglia, dorso locale del Corriere della Sera. E ha vissuto a lungo all’estero, in Francia e in Russia, dove è stata corrispondente e inviata di guerra per l’Unità. Qui di seguito un’ampia sintesi dell’articolo pubblicato su first online.it.
DOMANDE A MOSCA
Anche a Mosca se lo chiedono, si legge in apertura. Anzi le domande sono più di una, tenute come anelli di una catena il cui capo è in mano a Vladimir Putin. “E ora che siamo entrati in Ucraina? Come procediamo? Dove ci sta portando il nuovo zar? Entriamo in guerra per ricostruire l’ex Urss?”. Le parole di Putin in tv a rete unificate si cono concluse con il riconoscimento delle Repubbliche popolari del Donbass. Hanno avuto l’effetto di una doccia fredda anche in Russia, dove nessuno si aspettava di piombare in un clima da Guerra Fredda reso ancor più greve dalla prospettiva di un impegno bellico di vasta portata alle porte dell’Europa. Siamo di fronte a un “approccio paranoico” alla politica o alla fine della pazienza di un leader che considera che il suo Paese accerchiato e vuole lottare per la sopravvivenza? Fare appello alla razionalità è difficile, perché sono in campo troppe varianti.
UCRAINA IN GUERRA
Un conflitto largo che veda l’esercito ucraino direttamente in campo contro quello russo è l’ipotesi meno probabile. Vero che tutto può accadere, come abbiamo visto. Ma si ha fiducia nel pensare che Kiev venga scoraggiata dagli alleati occidentali dallo scendere in guerra aperta con Mosca: dove porterebbe questa scintilla fa tremare ogni cancelleria e ogni singolo europeo.
NEGOZIATI IN VISTA
Siamo alla vigilia di negoziati che dovranno per prima cosa fermare i carri armati russi e porre termine alla fase calda del conflitto? Se è così, non succederà in un giorno, saranno magari indispensabili settimane. Anche perché le parole di fuoco usate da Putin in televisione corrispondono alla cancellazione dell’Ucraina di oggi dalla cartina europea come Stato indipendente.
IL MODELLO OSSEZIA
Nessun analista al momento ritiene che Putin voglia arrivare a Kiev.
È probabile che ci ritroveremo a una edizione bis dell’intervento russo in Georgia, nel 2008, quando l’Ossezia fu strappata a Tblisi e ancora oggi si trova sotto l’influenza russa.
A lungo Putin ha insistito sul rispetto del Protocollo di Minsk, vale a dire sulla assegnazione dell’autonomia delle due Repubbliche dentro i confini ucraini, secondo il modello Alto Adige scelto dall’Italia. Anche che per evitare la rogna di amministrare i due territori con problemi giganteschi e stremati da sette anni di guerra. Ma l’Ucraina, pur avendo firmato quel Protocollo, non ha mai fatto nulla per praticarlo. E adesso che Putin ha varcato le frontiere, anche per i russi, come ha detto il suo ministro degli Esteri Lavrov: “Minsk è carta straccia”.
RIFORMARE LA NATO
L’Occidente non può pensare di guardare ancora alla Russia come erede dell’URSS, ossia come il “nemico” da circondare con Alleati per renderlo inoffensivo. Non dimentichiamo che sette degli otto paesi dell’ex Patto di Varsavia sono entrati nella Nato. La verità è che quei Paesi vedono nella Nato una scelta di libertà e di democrazia, mentre essa è solo un’alleanza militare. Sarebbe tempo di praticare quella riforma di cui si è molto parlato a partire dal 1991, alla caduta del comunismo, e che prevedeva di coinvolgere anche la Russia. Anche perché in futuro dovremo fare i conti confrontiere e sfere di influenza “variabili”: dalla Russia alla Turchia, dall’Iran a Israele, dal Pakistan all’India.
EMERGENZA CINA
Gli Usa hanno nel futuro il confronto (o scontro?) con la Cina, che li porterà sempre di più ad essere presenti nel Pacifico. È inevitabile quindi, oltre che necessario, che come europei provvediamo da soli alla nostra sicurezza nell’area euromediterranea. Siamo in grado di farlo? La pandemia ha dimostrato che quando vogliono gli europei parlano con una voce sola e con atti unanimi, ora dovrebbero provare a farlo anche in politica estera. I tempi sono maturi.
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