Mentre, tra sussulti di paura per l’aumento dei contagi della “variante indiana”, prevalente, e la buona notizia che dal 3 giugno sarà possibile somministrare vaccini a tutta la popolazione (senza più dover rispettare il criterio delle fasce di età), cerchiamo di dare bracciate faticose per uscire dal mare ancora misterioso del covid, ci sforziamo di ritrovare una sia pur parziale “normalità” e ciascuno di noi, anche inavvertitamente, fa i conti con gli ultimi, lunghi, mesi.
Inutile fingere che, giunto da un laboratorio o dalla insana gestione di un mercatino cinese, questo virus non ci abbia stravolto la vita.
Prima di tutto ai tanti, ai troppi, che sono morti, hanno sofferto e tentano di tornare sani o, anche, hanno perso qualcuno.
Quei qualcuno “ingoiati” da un ospedale, finiti a pancia sotto, intubati ed incoscienti, cui non è stato possibile neanche dire addio.
Per chi non ha vissuto questo dramma, è bastato anche soltanto viverlo di fianco, tra gli strani suffumigi di sanificazione che, in tanti, ci siamo ritrovati a respirare nei condomini, laddove qualcuno, malato di covid, ha “costretto” il resto della famiglia alla quarantena.
Nella prima “ventata di lockdown vidi una scena dalla finestra, a pochi metri dal mio palazzo, sulla via principale: un lugubre carro nero, un gruppo di uomini coperti da capo a piedi a protezione e il corpo di un morto da covid, prelevato in un silenzio anomalo ed una atmosfera surreale che mi fece venire a mente sia Manzoni, Renzo Tramaglino e la peste a Milano che lo spettrale funerale preparato dalla fatina di Pinocchio allo scopo di fargli prendere la medicina amara:
-“A questo punto, la porta della camera si spalancò, ed entrarono dentro quattro conigli neri come l’inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.”
E, no: non ne siamo ancora fuori.
Chi di noi non ha perso parenti ha perso amici. Oppure è restato impotente nel sapere che una persona del suo palazzo ha perso la moglie, portata via in ambulanza e non più tornata e che è in quarantena, a piangere, da solo.
Si può soltanto chiederne notizie al portiere, per sapere se qualcuno gli fa la spesa. Ma neanche gli si può dare una pacca sulle spalle, a conforto.
Mentre riaprono cautamente i tanti luoghi restati chiusi o in qualche modo bloccati in parte nelle attività, un gruppo di famiglie muore per una funivia caduta.
– “Non pensavo che potesse succedere, messo il forchettone per velocizzare l’impianto”- Dice quello che sembra essere (ma certamente non è), il primo colpevole. Velocizzare. Riguadagnare il tempo (il denaro), perduto con lo stop/covid.
E’ un po’ il segnale che giunge da ogni luogo e quel “riguadagnare” conduce alla voglia di vacanze, di allegria, di vicinanza, per rifarsi, in qualche modo e più in fretta possibile, se non delle persone perse alla vita (su quelle niente si può, purtroppo), almeno dei mesi di clausura e del denaro non guadagnato.
Invece non dovrebbe essere così. Forse è il momento di fermarci a riflettere, di fare come i gatti, che si mettono al sole a leccarsi le ferite, di guardarsi intorno per decidere se questi tempi “morti” ci hanno insegnato qualcosa sulla sanità, sui rapporti umani, sull’uso delle tecnologie digitali e non. Su chi amiamo e dobbiamo/possiamo amare.
Tecnologie digitali che hanno anche regalato qualche felice momento, per mezzo delle piattaforme webinar gratuite, a quanti hanno avuto modo di utilizzarle. Parliamo di momenti “fuori dal tempo”, laddove riconoscersi in un argomento coinvolgente, rivedersi con amici, conoscere nuove persone e sentirsi coinvolti in qualche modo.
Uno tra i tanti, la serata trascorsa a merito dell’Associazione storico – culturale “Progetto Centola”, in collaborazione con il Gruppo “Mingardo/Lambro/Cultura, Sabato – 29 – Maggio – 2021, ore 17 (in occasione del centenario della nascita di Leonardo Sciascia), che ha permesso un incontro – dibattito con Fabrizio Catalano, autore e regista teatrale (nipote dello scrittore) su: “LEONARDO SCIASCIA: LO SCRITTORE, IL POLITICO E L’UOMO”.
Quindi: un modo per sentirsi vitali e collegati, anche se soltanto virtualmente. Forse una delle poche cose che rimpiangeremo del tempo covid.
Per il resto, “ributtandoci” nella vita reale, occorre assicurarsi, in fondo, che i nostri “freni” funzionino e che la corda della nostra vita non si spezzi, rimettendola a rischio con un carico che non può sopportare.
Riflettere che “il perduto” non si riguadagna mai. Fare i conti con la realtà che stiamo partendo (quasi tutti), da un gradino più basso. Punto. Non sarà cedendo alla voglia di azzardo, a quella di accontentarci dell’incertezza, del guadagnare più del dovuto (per rifarci del perduto), se siamo al pubblico in qualche modo, che giungeremo a soluzione.
Il covid non è stato ancora messo all’angolo e noi abbiamo la necessità di consentirci una ripartenza lenta.