Com’era prevedibile i tragici fatti di Caivano hanno dato l’opportunità ai fautori delle proposte di legge per contrastare la “omo-transfobia”, di sollecitare la discussione in Parlamento e di approvarle al più presto. Tra questi sul Riformista edizione di Napoli, il magistrato Eduardo Savarese, scrive: «la comunità LGBTQI, con le sue associazioni e i membri militanti, gridano all’intolleranza omotransfobica e il mondo cattolico, o una sua parte, esige che non si strumentalizzi la vicenda e non vede condotte di discriminazione (per esempio Maurizio Patriciello)». (E. Savarese, “Io omosessuale vi spiego perché all’Italia serve una legge anti-omofobia”, 18.9.2020, in Riformista).
Pertanto per il magistrato, dai dati raccolti sui giornali, «esiste un odio di matrice omofobica e va perseguito».
Ho appena finito di leggere il volumetto, pubblicato recentemente dalla casa editrice Cantagalli, “Omofobi per legge?”, dal sottotitolo: “Colpevoli per non aver commesso il fatto”, la pubblicazione è stata curata dal magistrato Alfredo Mantovano, con i contributi di una serie di giuristi: Francesco Farri, Domenico Airoma, Mauro Ronco, Carmelo Leotta, Francesco Cavallo, Roberto Respinti.
Premetto di non possedere sufficienti conoscenze in materia giuridica, pertanto, dai vari contributi del volume tenterò di far emergere, gli aspetti sociali, culturali e politici dell’argomento.
Per rimanere all’attualità, sono rimasto colpito, dai contributi di Mantovano e di Leotta, dove gli esperti commentano la proposta di legge AC, n.868, primo firmatario on. Scalfarotto. I promotori intendono modificare l’art. 604 bis cod. pen., per punire gli atti cosiddetti discriminatori anche se non violenti che siano espressioni di un giudizio di valore legato alle scelte individuali in materia di comportamenti sessuali. Dalla modifica all’art. 604 bis potrebbe incorrere nella condanna, «tanto la madre che suggerisce alla figlia di non sposare un bisessuale, quanto il padre che decidesse di non affittare una casa di sua proprietà al figlio che volesse andare a vivere nell’immobile con il proprio compagno». Su questo caso Mantovano si sofferma e cerca di chiarire che la riscrittura della legge non tranquillizza, anzi preoccupa gravemente «perché dà per certo che quella madre o quel padre siano sottoposti a un procedimento penale: il che – al di là dell’esito – rappresenta di per sé un trauma e un costo, sul piano umano e materiale».
Pertanto, una semplice discussione intrafamiliare può trasferirsi in un’aula di giustizia, dove un giudice è chiamato a decidere se nel semplice “suggerimento” (che non sia una minaccia, o una violenza) di una madre alla figlia, si è superato il confine fra ‘pregiudizio’ (tra l’altro discutibile) e discriminazione.
Dunque per Mantovano, «la mera prospettiva dell’avvio di un procedimento penale per una madre che affronti il tema con la figlia – perfino a livello del ‘suggerimento’- costituisce essa sì una minaccia alla libertà personale». In questo caso, una minaccia per la madre, che se non vuole rischiare di rendere conto al giudice dei suoi discorsi in casa con la figlia, in futuro, sarà costretta a rinunciare di dare suggerimenti. A questo punto sarà proprio la mamma «a essere gravemente discriminata per la manifestazione di una opinione, peraltro all’interno delle mura domestiche».
Il testo unificato delle cinque proposte di legge AC n. 107 (Boldrini), n. 569 (Zan), n. 868 (Scalfarotto), n. 2171 (Perantoni), n. 2255 (Bartolozzi) è ora all’esame della Camera dei Deputati. Queste proposte mirano ad estendere la punibilità e l’aggravamento delle pene anche alle ipotesi relative a discriminazione legate al concetto di genere. Sostanzialmente mirano a comparare il trattamento penale della cosiddetta “omo-transfobia” a quello del razzismo. Non sto qui ad elencare i vari reati che intendono punire, vi lascio alla lettura del testo, scrivo solo che ne risulterebbe applicabile una pena fino ad un anno e sei mesi di reclusione per l’autore di atti discriminatori non violenti commessi per motivi connessi alla preferenza o ad un comportamento nell’ambito sessuale. .
Il libro pubblicato dalla Cantagalli, «ha uno scopo duplice – scrive Francesco Farri – presentare con sguardo laico e non confessionale una tematica che sta assumendo un rilievo centrale nel dibattito non solo politico del nostro Paese; fornire uno strumento di riflessione sugli scenari operativi che si presentano dinanzi a tutti coloro che guardano con fondata preoccupazione all’eventuale approvazione di queste proposte».
Il contributo di Domenico Airoma (La legge sull’omofobia: l’olio di ricino della “dittatura del relativismo”?) analizza la lettura ideologica di queste proposte di legge. Intanto sostiene che non siamo in emergenza e non esiste nessuna urgenza per una legge sull’omofobia. Non ci sono i numeri, come ben chiarisce Mantovano. E poi quando vengono dati i numeri, che si riferiscono principalmente alle donne, e poi a persone LGBTI si rimane perplessi, «poichè si tratta di atti e comportamenti che, per la verità, già cadono sotto la scure della sanzione penale: peraltro neppure tra le più lievi […]».
Airoma descrive nel suo intervento le varie fasi della parola omofobia, legata alla conquista rivoluzionaria culturale del Sessantotto. Grazie all’onorevole Franco Grillini, l’associazionismo gay comincia ad entrare nelle aule parlamentari e poi con la rivendicazione dei nuovi diritti, si allea con la nuova sinistra, nata dalle ceneri del Partito Comunista Italiano, che intanto era diventato partito radicale di massa. La questione omosessuale va di pari passo con la rivendicazione dei cosiddetti nuovi diritti, così, «la nuova frontiera mistica di una sinistra libertaria delusa dal fallimento marxista – diviene centrale nella strategia di attacco alla famiglia e al matrimonio». Pertanto “l’accusa di omofobia” diventa “uno strumento di lotta politica”. Ormai «è omofobo chiunque si opponga all’affermazione dei nuovi diritti e al riconoscimento pubblico dei ‘ matrimoni’ same-sex e delle famiglie arcobaleno».
L’omofobia diventa un modo di essere, ritenuto squalificante e di arretratezza culturale. Secondo Airoma, l’omofobia si carica di valenza etica e diventa «lo stigma che colpisce chiunque si opponga alla costruzione dell‘omo novus’, anche semplicemente opponendo una resistenza passiva, inconsapevole, come nel caso della cosiddetta ‘omofobia interiorizzata’».
La prospettiva dell’identità di genere è quella di superare l’uomo così come è uscito dalle mani di Dio. Pertanto, l’incriminazione ai movimenti LGBTI serve per porre le condizioni «per una profilassi preventiva e per una incisiva azione rieducativa nei confronti di soggetti socialmente impresentabili ed eticamente biasimevoli». Airoma scrive: «Oggi purtroppo usiamo il carcere non più come extrema ratio ma come l’olio di ricino, come strumento di controllo sociale […]». Pertanto, «la legge sull’omofobia altro non è che la minaccia dell’olio di ricino per chiunque si opponga a un ricatto ideologico subdolamente totalitario, che pretende di portare alle estreme conseguenze quello ‘sbaglio della mente umana’ che è l’ideologia gender».
La posta in gioco è alta: per Airoma, da una parte ci sono quelli che pretendono che la loro concezione, sia “la” verità sull’uomo, ogni altra visione, non solo è culturalmente insostenibile, ma è riprovevole e i suoi odiosi sostenitori sono da silenziare con la minaccia del carcere. Dall’altra parte ci siamo noi, quelli che si trovano ormai in un mondo occidentale agonizzante, profondamente secolarizzato, che testimoniano con la propria vita e sostengono pubblicamente, «la bellezza dell’unica verità capace di far ricostruire una società a misura d’uomo».
E’ una battaglia che va combattuta, impegnandosi a realizzare un mondo diverso, «partendo proprio da quel corpo, da quella carne, che il nichilismo relativista vuole silenziare». Intanto in questa battaglia, «occorre difendere strenuamente tutti gli spazi di libertà, senza cadere nella provocazione criminogena di una legge che imbavaglia, quasi temendola, la libera manifestazione del pensiero».
In conclusione del suo intervento Airoma auspica che in questa resistenza culturale, nonostante il rischio di essere definiti omofobi per legge, come un tempo si era definiti “fascisti”, di trovare uomini dalla schiena dritta, uomini verticali, dal cuore grande.
L’intervento del professore Mauro Ronco approfondisce l’aspetto della pericolosità di introdurre nell’ordinamento i cosiddetti hate crimi, soprattutto in materia di orientamento sessuale.
I reati d’odio, previsti nella struttura dell’art. 604 bis, che con le proposte elencate sopra si intende estendere, secondo Ronco «sono profondamente contrari al principio del diritto penale, che postula alla base del reato un fatto offensivo nei riguardi di un bene sociale oggetto di esperienza concreta». Il reato d’odio così inteso, secondo il professore, viene costruito senza una base empirica accertabile dal giudice: “ti punisco perchè ti attribuisco una malvagia disposizione d’animo, l’odio appunto”. Se viene esteso il reato d’odio significa che il diritto penale si avvia verso «un modello che punisce la manifestazione di idee per correggere gli individui in ordine alla loro disposizione interiore».
Per Ronco è assurdo creare un reato basato su motivi d’odio. Chi critica le tendenze omosessuali per ragioni metafisiche, per ragioni etiche, psicologiche, mediche o sociali, «non per ciò è indotto a tali critiche per ragioni d’odio». È assurdo conferire a un giudice il compito di decidere se una determinata opinione sia espressione per convinzione scientifica, religiosa, culturale, familiare. Ma poi odio verso chi?, si interroga Ronco. Verso una tendenza, un orientamento o verso una persona? Anche qui distinguere è difficile perché nel diritto penale il giudice non può discriminare tra le intenzioni buone e quelle cattive.
In questa creazione continua di portatori di odio da punire potrebbero rientrare le opinioni come l’islamofobia, la cristianofobia, la giudeofobia. Tutto questo «significa costruire reati sulla base di un pregiudizio discriminatorio, che separa gli uomini e le donne in due categorie […]». Da una parte quelli che odiano, dall’altra quelli che non odiano e che quindi si sentono in dovere di punire e rieducare i primi. È una separazione che «contiene in sé un germe di totalitarismo dispotico cui è inerente il rischio di una discriminazione sociale potenzialmente drammatica, consistente nella disumanizzazione per via giudiziaria di una parte della popolazione […]».
Così tutti quelli «che manifestano le loro paure appellandosi al valore della propria identità sarebbero degli odiatori, da disumanizzarsi attraverso il monito del precetto penale e da rieducarsi per il tramite dell’esecuzione della pena».
Tuttavia non ci si rende conto che creando reati d’odio l’ordinamento rischia di trasformarsi esso stesso in causa di discriminazione tra le persone.
Occorre chiarire che l’odio è uno stato d’animo soggettivo assolutamente indiscernibile da una legge o da un giudice.
Nell’intervento di Carmelo Leotta viene ulteriormente sottolineata la grave lesione delle nuove disposizioni al sistema penalistico italiano e ai suoi fondamenti. Per Leotta, «la vera esigenza, non è oggi quella di estendere la portata applicativa degli artt. 604 bis e 604 ter cod. pen., ma quella di riportarla in equilibrio con il principio irrinunciabile del diritto penale del fatto, intervenendo in senso restrittivo e non estensivo della punibilità».
Rilevante il saggio di Francesco Cavallo (Scudi, non spade. Dall’esperienza USA qualche monito per il legislatore). L’autore entra nell’argomento evidenziando che negli USA il dibattito si presenta abbastanza vivo a causa della maggiore vitalità e aggressività dei gruppi LGBT e altrettanto maggiore è la consapevolezza nel corpo sociale della inviolabilità dei diritti di libertà e del diritto naturale. Il saggio di Cavallo mette in luce come le normative dell’ordinamento americano possono essere guardate come modello dai nostri legislatori.
Cavallo nel suo studio parte dalla distinzione tra diritti e bisogni. Il potere pubblico esiste per proteggere i diritti, ma in alcuni casi ha il dovere di soddisfare i bisogni. I programmi di welfare hanno lo scopo di venire incontro ai bisogni dei poveri.
Anche negli Usa i cittadini che si identificano negli LGBT, da tempo chiedono di non essere ostacolati nel soddisfacimento dei loro bisogni, quindi richiedono un intervento legislativo. Però è altrettanto evidente che «questi interventi non debbano comprimere i diritti fondamentali della altre persone, comprese la libertà di espressione, associazione e religione». Tuttavia questi interventi per proteggere alcuni cittadini dovrebbero avere il carattere di scudi e non di spade. Infatti «le leggi sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (Sexual Orientation Gender Identity, SOGI laws) vengono in realtà utilizzate come spade per ‘punire i malvagi’, come ha candidamente affermato uno dei più noti attivisti (e finanziatori) LGBT, Tim Gill […]».
Anche negli USA non è chiaro per il legislatore che cosa sia discriminazione e cosa sia compressione dei diritti e libertà fondamentali. «Anche Oltreoceano si censura la mancanza di determinatezza e di tipicità: queste leggi tendono ad essere vaghe ed eccessivamente ampie,prive di definizioni chiare su cosa significhi ‘discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere’, e quali condotte siano o meno sanzionabili». E’ fondamentale definire la discriminazione. Pertanto, «Definire il matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna non è una condotta discriminatoria. Né lo è la convinzione che il sesso sia una realtà biologica indiscutibile». Nello stesso tempo le persone che si identificano come LGBT vanno aiutate a soddisfare i loro bisogni, dove è necessario, «rispettando la coscienza delle “persone ragionevoli in buona fede” (per stare alle espressioni della Corte Suprema) che sul matrimonio e l’identità di genere la pensano diversamente: il disaccordo non è discriminazione, e l’ordinamento non può introdurre una presunzione di questo tipo».
Cavallo a questo punto evidenzia il diverso trattamento da parte dell’ordinamento statunitense delle discriminazioni razziali, rispetto a quello delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale. Infatti, sono tracciate distinzioni complesse e sofisticate per proteggere i diritti e libertà fondamentali e richiamarli potrebbe aiutare ad evitare errori in Italia. E’ fondamentale avere chiara la distinzione tra distinguere e discriminare. Per esempio una scuola distingue in base al sesso degli alunni quando crea bagni maschili e femminili; invece, discrimina in base al sesso se consente solo agli uomini di studiare economia.
A questo punto Cavallo è costretto a fare un’altra distinzione fondamentale: tra discriminazione e semplice disaccordo. Sono interessanti gli esempi proposti del fioraio, del pasticciere, del pizzaiolo e il fotografo. Sono quattro casi giurisprudenziali che sono stati discussi ampiamente dalla Corte Suprema dei vari stati americani. Questi imprenditori in pratica si sono rifiutati di preparare fiori, torte, cibo e fotografie per matrimoni tra persone dello stesso sesso. Attenzione loro non si rifiutano di vendere singolarmente il loro prodotto a persone che hanno un orientamento omosessuale, ma non accettano di farlo quando si tratta di celebrare il loro matrimonio. E’ come se queste persone avessero detto: “Non ha nulla contro le persone omosessuali, ma non posso contribuire a celebrare il loro matrimonio, perchè è contrario alle mie convinzione”.
A fronte di tale dissidio, il compromesso possibile a cui è arrivata la Corte Suprema federale viene così espresso: «rispettare la libertà delle persone omosessuali, allo stesso modo deve rispettare la libertà degli americani che hanno una diversa idea della sessualità, del matrimonio, della genitorialità». Scrive Cavallo: «Le leggi contro le discriminazioni, dunque, dovrebbero essere al più uno scudo per proteggere, non una spada per recidere la libertà di musulmani, ebrei, cristiani e altri credenti e non credenti, che seguono la medesima idea naturale di sessualità, matrimonio e famiglia».
L’ultimo saggio di Roberto Respinti tratta della libertà di manifestazione del pensiero, con suggerimenti utili a difendere l’esercizio.
DOMENICO BONVEGNA
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