I Fratelli Bandiera, i primi martiri coscienti e folli dell’ideale risorgimentalistico nazionale, vollero dare immediata concreta attuazione del programma mazziniano. Attilio Bandiera (1810-1844) – Emilio Bandiera (1819-1844), figli di un nobile alto ufficiale della Marina austriaca, furono ambedue avviati dal padre alla carriera navale ma i due giovani votarono la vita alla libertà ed al riscatto dell’Italia. Dopo alcuni contatti a Londra con Mazzini avevano fondato autonomamente ancora nel 1840-41 una loro società segreta, la Esperia, poi confluita nel movimento mazziniano, svolgendo un intensa attività patriottica, controllata con discrezione dalla polizia austriaca. Il loro progetto era quello di far nascere una rivolta in Calabria in una data da stabilirsi. Il 15 marzo del 1844 scoppiò a Cosenza una rivolta locale spontanea con nessun aggancio con le sette segrete, che fu causa di un tremendo equivoco.
I fratelli Bandiera in giugno credendo trattarsi dell’insurrezione mazziniana, con 19 compagni e un certo Nevara, calabrese, che doveva fare da guida, stabilirono di partire da Corfù per Crotone.
Purtroppo la cupa realtà era che né a Cosenza né tanto meno in Calabria era scoppiata quella rivoluzione pronosticata da Mazzini, anzi era fallita proprio per la mancata partecipazione della popolazione che, ancora una volta, non si era mossa.
Mazzini non aveva apertamente appoggiata l’idea dei Bandiera, ma nemmeno l’aveva contrastata. Non prese in considerazione che il fallimento della spedizione avrebbe provocato un ulteriore e gravissimo colpo alla credibilità dei suoi progetti e che la frattura dentro il mazzinianesimo sarebbe divenuta irreparabile. E infatti proprio questo accadde.
Attilio ed Emilio Bandiera, senza tener conto della nuova realtà politica creatasi nel meridione come conseguenza del più oculato governo di Ferdinando II, forti della convinzione che gli abitanti del regno fossero contro il sovrano e che bastasse la classica scintilla per far scoppiare l’incendio, vincendo le resistenze dello stesso Mazzini, il 12.6.1844 salparono da Corfù e il 16 sbarcarono a Crotone puntando verso Cosenza. La popolazione invece di accoglierli entusiasticamente agitando rami di ulivo e di palme, si dimostrò indifferente e, sollecitata, divenne ostile. Il corso Boccheciampe, un avventuriero senza l’entusiasmo dei neofiti, né lo slancio del patriota fanatico, visto come si mettevano le cose, ritornò a Crotone dove informò la polizia. In realtà il governo borbonico era già stato informato da quello inglese dell’arrivo dei Bandiera, perché controllava la corrispondenza di Mazzini.
Al primo scontro il gruppetto fu messo in fuga dalla Guardia Civica. I fratelli riuscirono ad evitare il peggio ma il 19 furono assaliti a San Giovanni in Fiore dalla truppa e dal popolo che li aveva scambiati addirittura per pirati. L’impresa era finita ed essa era finita così non per il tradimento di Boccheciampe, bensì per il mancato appoggio del popolo e perfino delle locali sezioni della Carboneria e della Giovane Italia. Furono condannati tutti a morte, ma da 17 le condanne furono ridotte a 9: Attilio ed Emilio Bandiera, Domenico Moro, tutti e tre di Venezia, Anacarso Nardi della Lunigiana, Giovanni Venerucci di Rimini, Domenico Luparelli di Perugia, Giacomo Rocco e Francesco Berti di Lugo, Nicola Ricciotti di Frosinone.
Il 25 luglio furono portati nel Vallone di Rovito dove la condanna sarebbe stata eseguita. Lungo la strada cantarono inni rivoluzionari ed erano ilari, come lo può essere una persona che sta per essere fucilata. Nel pomeriggio si confessarono e qualcuno scrisse delle lettere. Poco prima dell’esecuzione Emìlio disse: “Sono contento di morire in terra italiana e per moschetto italiano invece che tedesco”. Ricciotti, Moro e Nardi erano muti e pensierosi, gli altri fingevano di essere allegri. Quando furono allineati al muro il relatore della commissione di Guerra rilesse la sentenza, il plotone caricò, puntò e sparò fra il grido di Viva l’Italia!
Seppero morire bene, degni della migliore tradizione dei primi martiri cristiani e di quella romantica dell’ottocento. Ebbe così fine l’avventura di disperati, nutriti di idee utopistiche, eroi che avevano cercato di risolvere con sacrificio di se stessi problemi che non erano ancora giunti a piena maturazione e che in ogni modo andavano affrontati in altra maniera. L’impressione che la tragica impresa suscitò nel resto d’Italia, fece scatenare altre violente polemiche dentro e contro le società segrete e i vari movimenti liberali. Tornarono nuovamente alla ribalta i progetti moderati.