Imprigionato nel “gran pruno”, l’arbusto che racchiude l’anima dei suicidi, Pier della Vigna,prende vita non solo attraverso il dialogo dantesco ma ancor di più tra le dirette, decise, vigorose pennellate di Roberto Mendicino. Un evento straordinario: una pianta che parla! Nella tradizione classica si riscontrano svariati esempi di esseri umani trasformati in piante, Metamorfosi di Ovidio, il Polidoro di Virgilio ma l’episodio terrificante raffigurato dall’artista cosentino, si svolge in un ambiente straniato nel deserto dell’indifferenza: il tronco incarcera l’anima, ne diventa corpo e continua a vivere in esso come per magia, perfetta connessione tra anima e pianta che l’artista traspone in un unicum indissolubile, in un intreccio tra presente e passato dove nel passato si esprime la transitorietà della condizione umana e nel presente l’eternità di quella vegetale con i suoi dolori e le sue lacerazioni.
L’onore, la lealtà, l’invidia, l’indifferenza sono tematiche ricorrenti nella pittura di Mendicino e anche questo dipinto pone in luce un uomo che, a causa dell’invidia e della calunnia degli avversari, si suicida pur essendo portatore di alti valori morali tra cui la fedeltà curiale e l’orgoglio intellettuale, pertanto merita incondizionata ammirazione e riscatto sociale, ma l’espressione che l’artista mette sul volto di Dante e Virgilio posti sopra la voragine infernale fa risaltare il chiaro intento del pittore di trasporre come il peccato contro se stessi sia una forma di cristallizzazione di un momento della vita che continua nell’aldilà e che Mendicino fissa con abilità e maturità artistica le suddette forme emblematiche anche se talora volutamente paradossali visto il contesto dantesco.