di Elena Pierotti
I Chierici Regolari Somaschi sono un istituto religioso maschile di diritto ed i Suoi membri, chiamati Somaschi, presero il loro nome dal luogo dove ebbe inizio la loro attività. L’Ordine servita fu fondato intorno al 1534 e si dedicò prioritariamente all’istruzione e all’educazione cristiana.
A Roma, a partire dal 1595 fu fondato e retto dai padri Somaschi il collegio Clementino, che deve il suo nome a Papa Clemente VIII, al secolo Ippolito Aldobrandini.
Nel 1798, con l’arrivo di Napoleone, il collegio fu soppresso, con relativa vendita di molti suoi beni all’asta. Dopo l’epoca napoleonica molti dei beni appartenuti al collegio Clementino dei Padri Somaschi furono recuperati ed il collegio riaprì. Prima degli eventi Rivoluzionari francesi e a seguire napoleonici il collegio aveva ospitato come allievo anche Marzio Mastrilli, il futuro marchese del Gallo, che fu plenipotenziario non solo dei Sovrani borbonici ma anche di Giuseppe Bonaparte ed a seguire di Gioacchino Murat, quando questi ultimi furono posti da Napoleone a regnare sul Regno di Napoli.
“Era stato lo zio materno Caracciolo ad indirizzare il Marchese per la sua educazione al celebre Collegio romano.
Dopo la fine del periodo napoleonico e l’avvento della Restaurazione, vicedirettore del collegio da poco riaperto divenne il chierico Regolare Somasco piemontese Francesco Galli, zio dei noti patrioti Celestino e Fiorenzo [1]. Quel collegio e quell’Ordine ritornarono in primo piano per sostenere quei patrioti dediti al rinnovamento politico della Penisola.
Dobbiamo leggere attentamente la vita di tali personaggi per comprendere cosa fu davvero il nostro Risorgimento. E comprendere quanto la loro educazione, anche religiosa, fosse stata essenziale nelle dinamiche politiche del periodo. I padri Somaschi e la loro opera educativa ebbero sicuramente un peso rilevante nelle vicende.
Marzio Mastrilli, più conosciuto come Marchese del Gallo, non fu sicuramente un carbonaro. Si lasciò tuttavia coinvolgere, dopo che si era ritirato a vita privata nel 1815, all’indomani della caduta di Murat, nelle vicende rivoluzionarie napoletane del 1820-1821. Fu infatti nominato membro della giunta provvisoria di governo e nell’agosto del 1820 inviato a Vienna nella veste di ambasciatore straordinario. Ma il suo viaggio venne interrotto a Klagenfurt[2] e per questo dovette rientrare. Trascrivo testualmente: “In novembre[1820] fu nominato luogotenente generale di Sicilia; non ebbe il tempo di recarvisi, in quanto chiamato a ricoprire la carica di ministro degli Affari esteri nel governo nominato dopo la caduta del primo, in dicembre. In quello stesso mese fu delegato dal Parlamento, secondo il dettato della costituzione, ad accompagnare in tale veste Ferdinando, ora Re del Regno delle Due Sicilie, al congresso di Lubiana. Il Re si imbarcò su nave britannica ma, appena giunto in Toscana, fu preso in consegna dai suoi tutori, il francese Blacas e l’austriaco L. Von Lebzetern. Al Mastrilli, giunto via terra, fu ordinato di seguire il Sovrano a una giornata di distanza. Fu bloccato una prima volta a Mantova il 5 gennaio, l’8 ripartì per Gorizia, ove giunse l’11. Qui fu bloccato in un albergo, sorvegliato costantemente e con divieto di comunicare con chicchessia. Qualche corriere di passaggio ebbe il coraggio di portare sue lettere al reggente Francesco. Finalmente il congresso, una volta predisposta la messa in scena, permise al Re di chiamare il Mastrilli, senza segretari, presso di sé a Lubiana. Giunto qui il 30 gennaio, il Mastrilli fu ammesso alla presenza del Re e informato, in un colloquio attentamente origliato da Alvaro Ruffo, del totale cedimento regio alle richieste dei suoi alleati. Fu poi invitato ad assistere, quale privato, senza diritto di parola, alla lettura degli atti finali del congresso – per la verità amputati dei rilievi critici francese ed inglese auspice Blacas – perché riferisse ai suoi connazionali la perfetta unanimità degli alleati del Re. Non avendo diritto di parola, il Mastrilli dichiarò che avrebbe chiesto gli ordini al suo Re e riferito a Napoli quanto aveva sentito.
Tornato a Napoli il Mastrilli riferì fedelmente al reggente, con vari gradi di moderazione ad altri interlocutori istituzionali. Voleva assolutamente dimettersi dal governo, nel quale aveva ripreso le sue funzioni di ministro degli Affari esteri. Essenzialmente tentò di riaprire il discorso o la via, del tutto impraticabili, della protezione francese in cambio di una riforma costituzionale a Napoli. Riteneva, probabilmente a ragione, che la carboneria si proponesse non la conquista dello Stato, bensì il dominio e il controllo carbonaro sullo Stato tramite le proprie strutture parallele. La proposta costituzionale moderata era stata però respinta con forza dalla carboneria nel dicembre 1820. Era ormai assurdo ritentare la via francese, dopo aver constatato che nelle ineludibili mani di Blacas qualsiasi (presunto) tentativo di una politica autonoma veniva ignorato o deviato. Più seriamente volle, con l’invio di persona gradita, ispirare al Re, allora a Firenze, un atteggiamento più dignitoso, meno succube, o perlomeno distinto d quello austriaco, ma gli sforzi suoi e dei ministri francese e britannico furono inutili. Dopo la caduta del Regno costituzionale il Mastrilli rimase lontano da qualsiasi attività politica [….]”.[3]
In quello stesso periodo in Lucca era al potere la dinastia collaterale dei Borbone Parma. La sovrana era Maria Teresa, ma a breve sarebbe divenuto Re il figlio di questa, il Duca Carlo Ludovico. Proprio durante la rivoluzione napoletana di quegli anni si trovava in Napoli un personaggio che fu poi di fede mazziniana e che ebbe un importante ruolo politico nella sua città. Col Duca avrà un rapporto di amore-odio, nel senso che il Duca si servirà di lui nel 1832 in Corsica, ufficialmente per fare l’agronomo, ma sottobanco, visti i risvolti bonapartisti e mazziniani dell’Isola, come si evince dalle carte, in altra veste. E tuttavia lo monitorerà sempre in via ufficiale. Sto parlando dell’avvocato Carlo Massei, che di madre faceva Burlamacchi. I Burlamacchi sono stati i riformati ginevrini che avevano lasciarono Lucca nel cinquecento ma di cui un ramo collaterale restò in città.
Carlo Massei nel 1816 conseguì la laurea dottorale in Legge all’Università di Bologna a pieni voti. Sulla scia di tali risultati, provenendo, il nostro, anche per parte paterna, da antica famiglia nobiliare lucchese, si trasferì subito dopo a Roma, dove fu avviato alla pratica legale dal giureconsulto Cavi ed ebbe modo di frequentare anche lo studio dell’avvocato Bonadosi. Nel febbraio del 1822 fu iscritto nell’albo degli avvocati di Roma. Il soggiorno romano fornì al Massei l’occasione per allargare le proprie conoscenze e incontrare studiosi delle più disparate discipline tra cui Giulio Cordero di San Quintino, storico, numismatico, archeologo molto conosciuto a Lucca, insieme col quale nel giugno 1820 intraprese un soggiorno a Napoli. Qui ebbe modo di entrare in contatto con le idee liberali e di osservare con interesse l’ordinato compiersi della Rivoluzione Napoletana.[4]
Giovanni Sforza, ramo cadetto degli Sforza di Montignoso, in una sua celebre pubblicazione [5] nelle osservazioni che ne trae di storico ed erudito si limitò a trattare il Massei ed il suo rapporto con Cordero di San Quintino come una semplice collaborazione sul piano culturale. Ma visto lo spessore del celebre padre Barnabita piemontese quale era il Cordero, di estrazione nobiliare, che ebbe contatti con tutta la nomenclatura europea, soprattutto inglese, ed il proseguo della carriera di Carlo Massei, possiamo escludere che si trattò di una semplice visita a Napoli di stampo culturale.
Oltretutto in quegli anni in Lucca un padre Gesuita, anche lui di estrazione nobiliare, padre Gioacchino Prosperi, [6]che apparteneva agli stessi ambienti da cui il Massei proveniva, si trovava a Torino ed era in comunione con i D’Azeglio, l’Abate Peyron, gli stessi Sovrani Sabaudi, Monsignor Giovan Pietro Losana, ossia tutti personaggi che erano sicuramente vicini al Cordero di San Quintino. Il mazzinianesimo del Massei ed il cattolicesimo liberale cui Prosperi aderì una volta uscito dall’Ordine gesuita nel 1826 e trasferitosi successivamente in Lucca, la sua città, non sono affatto, sempre come appare dalle carte, l’un contro l’altro armati, e bene definiscono questo passaggio napoletano del Massei, del 1820. Prosperi, quando fu accusato di Giansenismo dai cattolici intransigenti, rispose sempre prontamente con pubblicazioni che la Chiesa Corsa e la Chiesa Toscana dell’epoca ben sapevano in cosa consistevano le sue “predicazioni” Corse. Oltretutto Prosperi, come appare in una lettera presente all’Archivio di Stato di Lucca, era un fra’ massone.
Ancora nel 1843 Carlo Massei lo troviamo impegnato in situazioni rivoluzionarie in Cefalonia, da mazziniano, per conto del Duca Carlo Ludovico di Borbone Parma , e di altri Sovrani della penisola che collaboravano alacremente, non facendo Asburgo, in situazioni decisive del periodo per tutto lo Stivale.[7]
Leggiamo dalla biografia del Massei: “Proprio l’evoluzione della situazione politica del Regno delle Due Sicilie e soprattutto l’apertura [non dimentichiamo i forti legami del Cordero di San Quintino con Londra e degli interessi inglesi nella vicenda] spinsero il Massei a prolungare fino alla fine di quell’ottobre del 1820 il suo soggiorno in Napoli. Il Massei prese a seguire quotidianamente le sedute dei deputati napoletani e riuscì anche a stringere amicizia con Carlo Poerio. Rientrato a Roma nell’ottobre del 1820, il Massei proseguì l’attività forense, che dal 1822 potette esercitare autonomamente. La morte del padre lo costrinse a far ritorno a Lucca, dove si vide però negato il diritto di svolgere la professione senza aver prima superato un esame di ammissione all’albo locale. Cercò allora fortuna nell’attività imprenditoriale e, dal dicembre del 1829, divenne amministratore locale della comunità di Capannori, presso Lucca, della quale fu nominato Gonfaloniere. I trascorsi napoletani e l’attitudine a non accettare imposizioni lo esposero però ai sospetti della polizia ducale, impegnata in quegli anni a seguire ogni notizia di fantomatiche cospirazioni [formalmente questo era il comportamento dei sovrani di antico regime]. Il Massei fu così segnalato tra i referenti lucchesi di una non ben definita congiura che avrebbe coinvolto anche esponenti liberali del granducato di Toscana. Fu perciò colpito da un decreto di espulsione, prontamente amnistiato dal duca Carlo Ludovico di Borbone”.[8]
Tale riabilitazione avverrà nel 1833, quando già un anno prima il Massei fu comunque in Corsica per conto del Duca Carlo Ludovico in qualità di agronomo. Ma L’agronomia, viste le carte, nascondeva altre manovre politiche. Il Duca infatti, come appare da numerose lettere, più che incostante era impegnato sottobanco in situazioni che avrebbero potuto agevolare la formazione in Italia di uno Stato federale, magari sotto l’egida papale.[9] Il Suo protestantesimo non cozzava affatto con alcune frange ecclesiastiche cattoliche, come padre Gioacchino Prosperi, rispedendo le accuse contro se stesso al mittente, aveva di fatto definito e pubblicato.
Mazzini e i mazziniani, cui si erano legati gli stessi napoleonidi in vista della ricostituzione in Italia di un Santo Regno Italico[10] dove la Corsica sarebbe entrata, di diritto, come Regno autonomo nella futura congregazione, in Lucca erano di casa in quel periodo. Non solo il Duca ospitò nel 1834 in Benabbio (Bagni di Lucca) in incognito Carlo Luciano Bonaparte e suo fratello, entrambi figli di secondo letto di Luciano Bonaparte e altri numerosi patrioti ricercati mazziniani; ma nel 1837 anche Luigi Napoleone, futuro Napoleone III, fu ospite del Duca nella medesima località. Fu sempre il Duca che inviò padre Gioacchino Prosperi nel 1839 a “predicare” in Corsica per agganciare tutti e tutto, soprattutto i membri del partito bonapartista Corso, come appare nelle lettere del religioso.
Dunque il Massei faceva parte di questo ingranaggio. Di cui il Mastrilli, duca del Gallo, visti i suoi trascorsi, ed i legami profondi con i Borbone Parma, dovette aver fatto parte; o comunque esserne bene a conoscenza.
Un ingranaggio che, come appare dai documenti[11] dovette essere anche ben oleato. Infatti il nome di Carlo Massei viene affiancato sempre in un documento a quello degli Allegrini, editori Fiorentini che in Lucca fecero base, ma anche in Livorno, e che furono vicini a Mazzini e a Domenico Guerrazzi. Quando Antonio Mordini, nella lettera rintracciata, si rivolge a questi patrioti, nel 1843, li chiama Amici, perché tali erano, gli Amici del Popolo di guerrazziana memoria.
Tra i seguaci di Guerrazzi a Livorno ci fu anche Pietro Janer, amico fraterno di due piemontesi, all’epoca celebri, Fiorenzo e Celestino Galli, nipoti dell’allora vice Rettore del Collegio Clementino di Roma, Francesco Galli.
iI Collegio romano dove Marzio Mastrilli aveva studiato prima delle vicende Rivoluzionarie, retto dai padri Somaschi, ritorna dunque, poiché fu lo stesso collegio che vide i fratelli Galli e lo stesso Janer essere sostenuti nella loro fuga a Londra dallo zio dei Galli, Francesco, quando ricopriva l’incarico di vicerettore. Si potrebbe obiettare che fu una coincidenza. Che lo zio aiutò i nipoti per amore filiale. Ma i fatti portano in altra direzione.
Nel 1839 a Lucca giunse una lettera, presente anche questa all’Archivio di Stato, dell’editore piemontese Pietro Rolandi e del Vate Gabriele Rossetti, anche lui napoletano d’adozione, entrambi fuggiti a Londra per le questioni rivoluzionarie del periodo Risorgimentale. La lettera inviata a un patriota lucchese, mazziniano, che era stato per diversi anni un consulente del British Museum di Londra e che qui aveva sposato una signora inglese, trasferitosi proprio quell’anno nella sua città, e di ciò non abbiamo precisi ragguagli, porta i saluti dei nomi più prestigiosi del fuoriuscissimo italiano del tempo. Mi riferisco a Beolchi, Miglio, Arrivabene, Panizzi, Pepoli, Janer. Ma soprattutto conferma che il Duca lucchese ed i suoi collaboratori erano vecchie conoscenze di questi patrioti perché il Duca spesso si recava a Londra, ufficialmente solo per questioni legate ai suoi traffici librari e numismatici, tanto da aver stretto serrati legami con lo stesso direttore del British Museum, il fuoriuscito Antonio Panizzi.
Addirittura, nella lettera Pietro Rolandi, l’editore, definì nel dettaglio all’amico lucchese cui era indirizzata, Pier Angelo Sarti [questo il nome del fuoriuscito rientrato a Lucca] tutte le tappe tedesche di un suo recente viaggio sul continente, viaggio peraltro pericoloso per un patriota ricercato dalla polizia in ambito internazionale, e del suo incontro in Prussia proprio con Carlo Ludovico, che spesso si recava dal Re di Prussia, protestante, monitorato in questi spostamenti costantemente dal Principe di Metternich.[12]
Ritornerei dunque ai padri Somaschi. Un patriota piemontese, padre Gioacchino De Agostini, che dismise l’abito talare proprio per sposare nel 1849 la figlia di Fiorenzo Galli, Adelaide Galli Dunn, peraltro cugina per parte materna del pittore David, il celebre ritrattista di Napoleone Bonaparte, era in comunione con padre Calandri, il Rettore a Lugano dei padri Somaschi e confidente di Alessandro Manzoni, come appare dai carteggi.[13]Quell’Alessandro Manzoni con cui, leggendo le carte di padre Gioacchino Prosperi ed il suo atto di morte, la comunione, con lui anche parentale, non dovette essergli estranea. Padre Gioacchino Prosperi e l’amico Padre De Agostini erano stati in Piemonte colleghi e negli anni quaranta del XIX secolo confidenti nelle lettere. Apprendiamo quindi che i cattolici liberali furono al centro, prima ancora che Pio IX desse il là ad una politica volta a guardare al nuovo, delle questioni politiche del periodo, collaborando con quello che lo stesso padre Prosperi chiamò “laicismo italo-sardo ancora fastidiosamente vantaggioso”.[14]
Il Laicismo italo-sardo era quello mazziniano, e naturalmente non ne furono estranei i sovrani della penisola, che di casata non facevano Asburgo. Tra questi i Borbone di Napoli,[15] i Bonaparte mazziniani del tempo, in particolare i figli di Luciano Bonaparte e il loro cugino Luigi Napoleone, futuro Napoleone III. Ciò appare dai molti documenti rintracciati.[16]
Negare questa volontà e queste manovre, volte a inseguire un federalismo comune, significa negare l’evidenza dei fatti. Nel 1840 e poi nei due anni successivi, come appare sempre da documenti rintracciati, Paolo Fabrizi, della Lega Italica e seguace mazziniano, organizzò una spedizione di mille uomini, anticipando quanto farà Giuseppe Garibaldi qualche anno dopo. Operazione fallita quella di Paolo Fabrizi, abortita sul nascere.
Gli furono vicini nell’operazione un Pacchiarotti milanese e Ribotti di Moliere, piemontese, che avrà un ruolo decisivo anni dopo anche nelle mosse cavouriane.
Ed insieme a lui patrioti arruolati in Corsica e tra le forze napoletane perché i patrioti Corsi di quegli anni, sulla scia di Murat e delle sue gesta, si unirono profondamente, sempre come possiamo leggere nelle carte, con i patrioti napoletani. [17]
Per definire le vicende trascrivo letteralmente quanto segue: “ Pur di carattere eclettico e con molteplici interessi, Pietro Janer spesso al centro di intraprese commerciali, dalle quali tuttavia non riuscì a ottenere grande fortuna, fu viceversa per la natura libertaria e la vocazione patriottica che sembravano informare ogni sua attività, nei primi anni Venti dell’ottocento, al centro di una fitta rete di relazioni tra esuli, commercianti e letterati patrioti comprendente numerosi personaggi, non solo livornesi, che animavano la scena sommersa dell’opposizione politica dei governi restaurati.
In particolare aveva stretto sincera amicizia con Giuseppe Gargantini, esule a Lugano e del quale, durante gli anni 1821-23, divenne uno dei referenti nel Granducato di Toscana. Anche più intensa e profonda appare la relazione con Fiorenzo Galli, patriota piemontese rifugiato e combattente in Spagna, già agli inizi del 1822 compilatore, con B.C..Aribau, della rivista catalana El Europeo. La loro corrispondenza si infittì quando Galli, rifugiatosi a Roma dopo la sconfitta del governo costituzionale spagnolo, decise di recarsi a Londra, Lo Janer, che condivideva con Lui ideali e aspirazioni patriottici, divenne l’unico suo punto di riferimento italiano. Fu egli a smistare la posta verso lo zio Francesco Galli, vicedirettore del collegio Clementino di Roma, e non fornì all’amico solo suggerimenti sulla vita dei conoscenti comuni, ma anche e soprattutto inviò importanti informazioni, spunti e componimenti per mantenere attiva, all’interno della rete degli esuli militanti, la circolazione delle idee di libertà. Per lo Janer come per moltissimi altri scrittori del momento, il ricorso alla letteratura era pertanto al tempo stesso lo strumento per manifestare il proprio impegno civile e il mezzo per aggirare le invadenti censure austricanti […] Tra il 1832 e il 1833 si trasferì a Londra ( Adelaide Galli Dunn, figlia di Fiorenzo Galli nacque a Londra nel 1833), allacciando feconda amicizia col poeta vastese ma napoletano d’adozione Gabriele Rossetti”.[18]
La memoria corre a Lugano ( penso a padre Calandri, il padre Somasco che fu in amicizia col genero di Fiorenzo Galli, ossia l’editore ed erudito Gioacchino De Agostini di Torino); penso a quegli ambienti inglesi che protessero l’agente murattiano Giuseppe Binda nel 1815 nella sua fuga a Londra dopo aver tenuto in mano le lettere del marchese del Gallo. Ossia a Lord Holland, che sostenne col Duca borbonico Carlo Ludovico il suo ruolo di plenipotenziario ed al contempo visitò a Roma, questo fino al 1838, anno della sua morte, Letizia Bonaparte, madre di Napoleone Bonaparte e nonna di quei napoleonidi che finanziavano le imprese mazziniane. Penso a Carlo Pepoli, la cui famiglia con i Bonaparte ebbe legami, anche familiari ,e che si rifugiò a Londra in comunione, come appare nella lettera a due mani di Gabriele Rossetti e Pietro Rolandi rintracciata, con tutti i fuoriusciti del periodo. Rileggere le carte del Primo Risorgimento a volte avvicina davvero le varie parti della penisola sicuramente più dell’Impresa garibaldina. E guardare ai cattolici liberali con occhi diversi stimola un’analisi critica diversa e maggiormente definita.
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[1] Celestino Galli di Carrù è l’inventore del Partenografo, prototipo della macchina da scrivere e col fratello Fiorenzo fu un patriota di stampo mazziniano nel Primo Risorgimento.
[2] Parigi, Archivio del Ministero degli Affari esteri, Toscana, 162,7, settembre 1820.
[3] Marzio Mastrilli in “Dizionario biografico degli italiani – Vol. 72, Enciclopedia Treccani.
[4] Giovanni Sforza, Ricordi e biografie lucchese, Lucca, Baroni,1886.
[5] Giovanni Sforza, cit.
[6] Padre Gioacchino Prosperi. Dalle Amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, Tesi di laurea che ho discusso presso l’Università di Pisa nell’A.A. 2009-2010.
[7] Lettera di famiglia che appartiene all’Ingegner Enrico Marchi di Lucca, del 1843, spedita da Cefalonia da Antonio Mordini a padre Alipio Goambastiani.
[8] Giovanni Sforza, cit. Lo Sforza era sposato con Elisabetta Pierantoni, di origini napoletane. Conosceva senz’altro dal di dentro queste particolari situazioni.
[9] Oltre alla tesi le mie pubblicazioni al Riguardo si possono rinvenire sia in rete ( www.storico.org) e Studi Napoleonici?, sia in cartaceo su una pubblicazione del dottor Giulio Quirico su Michele Parma , ed. Ladolfi Novara 2020.
[10] Archivio di Stato di Lucca, Legato Cerù, fascicolo appartenuto a Gioacchino Prosperi.
[11] Lettera del 1843 che appartiene all’Ingegner Enrico Marchi di Lucca, cit.
[12] Archivio di Stato di Lucca, legato Cerù, rif. 18, Lettera fascicolo alla voce Gabriele Rossetti
[13] www.storico.org, Padre Gioacchino De Agostini. Interprete del Risorgimento nel Piemonte Sabaudo, un mio articolo apparso in rete. De Agostini è i confidente di padre Prosperi nella sua pubblicazione “La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola”, Fabiani, Bastia, 1844.
[14] Archivio di stato di Lucca, Legato Cerù, cit. Fascicolo che appartiene a padre Gioacchino Prosperi lettera del 29 marzo 1846.
[15] Archivio di Stato di Lucca, Carte Bernardini, vedi www.storico.org e Studi Napoleonici alla voce Eleonora Bernardini, mie pubblicazioni in rete.
[16] Archivio di stato di Lucca, Legato Cerù, cit. Fascicolo che appartiene a padre Prosperi, Lettera del 29 marzo 1846.
[17]Bernardi B.& Fioravanti S., 2014, la corrispondenza criptata tra JacpoPierotti e Nicola Fabrizi, in AA.VV. “La Garfagnana: Storia, Cultura e Arte II”, Modena: Aedes Muratoriana, pp. 147-166.
[18] Janer Salvatore Pietro, Dizionario biografico degli italiani, volume 62 (2004), Enciclopedia Treccani.