Vincenzo Musacchio, docente di diritto penale in varie Università italiane, direttore della Scuola della Legalità “Don Peppe Diana” di Roma, editorialista de L’Ora di Palermo e della Gazzetta del Mezzogiorno. Da sempre sensibile e impegnato nella diffusione della cultura della legalità e nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Ha subito anche atti intimidatori personali e verso i suoi familiari. Fa quotidianamente il proprio lavoro senza pretese, trasmettendo uno spaccato generale della situazione sociale, politica e culturale in cui il Molise e l’Italia sono immersi e dal quale afferma si riuscirà a riemergere solo con una presa di coscienza di tutta la società civile verso un percorso di impegno e responsabilità in cui ognuno è chiamato a fare la sua parte, il suo dovere.
Prof. Musacchio lei in questi ultimi anni ha subito alcune intimidazioni. Crede di aver dato fastidio a qualcuno?
Quanto è accaduto, soprattutto nel 2014, è legato al fatto di essermi occupato di temi delicati quali le infiltrazioni della criminalità organizzata in Molise relative al traffico di rifiuti tossici e i costi della politica soprattutto legati agli sprechi e agli scandali dei gruppi consiliari. Per quanto ne possa dedurre c’è probabilmente un nesso di causalità con le suddette tematiche che certamente hanno dato fastidio e continuano a dare fastidio. In passato, ho menzionato, nel Report della Commissione Regionale Anticorruzione dal titolo “Molise Oscuro”, nomi di persone “pericolose” e di politici non proprio “dabbene”. Probabilmente questi sono argomenti rischiosi e se ti individuano come “fastidioso”, perché fai un certo tipo discorso, ti discreditano, ti emarginano e ti minacciano. Sicuramente i responsabili sono qui in Molise e non altrove.
Ha ricevuto altri tipi di minacce o atti intimidatori in passato?
Le solite telefonate mute, qualche lettera minatoria, gomme bucate e danni materiali all’autovettura di famiglia, in alcuni casi, qualche professionista della politica e del giornalismo voleva denigrare la mia persona perché ho osato puntare l’obiettivo su fatti e persone da tempo sepolti e dimenticate. Sicuramente il Molise è una zona sui generis, apparentemente silenziosa ma in alcuni casi complice del malaffare.
Come ha reagito quando è stato minacciato? Le istituzioni le sono state vicine?
Sinceramente ho avuto paura per le minacce rivolte alla mia famiglia. Siccome ho aspettato un po’ di tempo prima di denunciare le intimidazioni ricevute, gli inquirenti mi hanno detto che se dovesse succedere nuovamente devo comunicarlo immediatamente. Devo riconoscere che, sia i Carabinieri di Campomarino a cui mi sono rivolto, sia la Procura della Repubblica di Larino, hanno dato la massima disponibilità e ciò mi ha tranquillizzato e mi ha fatto sentire più vicino alle istituzioni.
Lei collabora con alcuni giornali tra cui il Sud online, L’Ora di Palermo, la Gazzetta del Mezzogiorno e molti giornali cartacei e telematici molisani, cosa la anima nel fare il giornalista?
Non sono affatto un giornalista e mai lo sarò, semplicemente mi piace scrivere e raccontare i fatti, in modo netto e senza fronzoli e solo nelle materie di mia competenza e probabilmente questo modo di fare non va bene a qualcuno. A dire il vero, una caratteristica che il vero giornalista dovrebbe avere però credo di possederla: tenere sempre la schiena dritta!
A riguardo, qual è la sua opinione sull’importanza dell’informazione al giorno d’oggi in Italia e come secondo lei deve essere fatta?
L’informazione è importantissima, rimanere in silenzio e tacere su determinati argomenti significa spesso favorire qualcuno, in alcuni casi essere complice o peggio correo. La situazione del giornalismo in Italia è triste perché la professione è diventata connessa al tipo di giornalismo che vogliono gli editori o peggio i politici di turno e questo è davvero deleterio. La caratteristica del vero giornalismo è la libertà d’espressione più ampia possibile nel descrivere un fatto.
Per certi aspetti si può dire che i temi della corruzione e della criminalità organizzata trovano interesse finché rimangono una narrazione, ma quando richiedono una presa di posizione di istituzioni e cittadini spesso c’è indifferenza e diffidenza. Secondo lei quali sono le cause di questa condizione?
Giovanni Falcone diceva: che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare. Io credo che ci sia l’interesse di far passare il problema della corruzione e della mafia soltanto per un problema riferito solo ad alcune zone d’Italia, questa chiave di lettura è molto diffusa ma molto errata. La politica, d’altro canto, ha da sempre questo atteggiamento un po’ riluttante perché lei stessa si finanzia con campagne elettorali fatte anche da persone che sono vicine ad ambienti poco “puliti”. Per quanto riguarda i cittadini faccio alcune distinzioni: ci sono quelli che si interessano a questo tipo di problematiche e vorrebbero cambiare le cose e sono una netta minoranza che però va crescendo, ci sono quelli contigui pur non essendo corrotti e mafiosi si avvalgono di favori e clientelismo e infine ci sono quelli che vivono di questo e che sono mafiosi e corrotti a tutti gli effetti.
Il quadro che ha delineato è agghiacciante, il giornalista è limitato dall’editore, la politica nasconde gli scheletri nell’armadio e la cittadinanza, in parte, è indifferente. Cosa possiamo fare per migliorare la situazione?
Dovremmo iniziare una rivoluzione culturale a partire dai ragazzi, però la rivoluzione non si fa solo nelle scuole, ma si fa anche a Roma in Parlamento, quindi, o ci si mette in testa che bisogna fare delle leggi efficaci in materia di prevenzione e repressione di questi mali, oppure ritorniamo sempre allo status quo ante. Secondo me la gente è un po’ stanca di sentir solo slogan, vorrebbe un po’ di concretezza. Falcone diceva che non bisogna aspettarsi atti di eroismo dal singolo cittadino perché poi chi tenta atti di eroismo spesso rimane isolato. Poi questi fatti che accadono – ieri è accaduto a me, domani accadrà a qualcun altro e purtroppo sono accaduti ad altri in modo anche molto più pesante – possono anche continuare a sussistere perché fa parte del gioco, l’importante è non fermarsi e andare avanti. Per far cambiare il nostro Paese bisogna farlo diventare una Nazione. Occorre instillare nelle menti il senso dello Stato, della Costituzione e delle Istituzioni. Finora siamo sempre stati un Paese che ha funzionato male e solo per gli interessi economici dei cosiddetti “poteri forti”.
Lei ha ideato e fondato la Scuola della Legalità intitolata a don Giuseppe Diana, come è nata l’idea e qual è la sua importanza?
Non ho conosciuto personalmente don Peppino Diana ma attraverso il racconto degli altri e quei pochi scritti che lui stesso ci ha lasciato. Sebbene provengo da una famiglia cattolica mi sento distante dalla chiesa attuale, invece quello che mi ha colpito e che mi ha fatto appassionare di lui è che diceva ai suoi fratelli di andare tra la gente a predicare. A me è sempre piaciuto stare assieme agli altri e sapere che c’era un personaggio del genere che predicava alla gente fuori dalla chiesa mi ha fatto sentire molto vicino al suo pensiero. Perché amavo e amo i missionari, quelli che stanno in mezzo alla gente, tra i più umili e i derelitti, senza ricevere alcun riconoscimento. Don Peppe predicava un messaggio cristiano forte che aveva potenti ripercussioni culturali, politiche e sociali e per questo fu anche osteggiato dai suoi superiori. L’idea della Scuola è nata dalla sua figura e dal suo pensiero ma devo dire con sommo rammarico che in Molise l’iniziativa non è stata apprezzata dalla classe politica e istituzionale, tanto che all’inaugurazione della Scuola avvenuta l’8 novembre 2014 a Termoli l’aula era gremitissima ma non c’era nessun esponente politico o istituzionale, mentre devo dire che la gente, al contrario, è stata entusiasta, quindi il mio pensiero è stato: se non ci sono i politici forse vuol dire che sto sulla strada giusta. Coinvolgere i ragazzi è stato ed è il primo passo verso il loro impegno civile. Non è un caso che in tante iniziative tenute in questo anno di vita si sono visti persino i genitori dei ragazzi.
E’ vero che in quest’ultimo periodo sono accaduti altri fatti sintomatici della non tolleranza della sua Scuola?
Non so se l’astio sia verso la Scuola o nei miei confronti, so per certo che la mia partecipazione ad una lezione sulla legalità agli studenti organizzata da una nota associazione di Termoli è stata impedita da un politico locale che è parte integrante della medesima (peraltro pluri-indagato) giustificando il suo veto con la motivazione che io avrei interessi politici che potrebbero mettere in pericolo i suoi affari che mi permetto di definire “loschi”. Nell’ultima manifestazione dedicata a Don Peppe Diana pochi giorni fa sempre a Termoli non siamo stati neanche invitati come ospiti perché con molta probabilità persone sgradite agli organizzatori. Siamo scomodi per tanti perché non siamo attaccabili, ricattabili e strumentalizzabili. Non siamo affiliati ad alcun politico, siamo liberi ed indipendenti nella nostra azione. Della Scuola fanno parte magistrati, professori universitari, membri delle forze di polizia e ciò garantisce la serietà della nostra offerta. In ogni caso, continueremo a diffondere la cultura della legalità per lottare corruzione e criminalità organizzata nonostante gli svantaggi che ne sono derivati, che ne derivano e che ne deriveranno. Noi siamo al servizio della legalità e non ce ne serviamo per ricavarne profitto. Facciamo questo da oltre vent’anni a titolo di puro volontariato e non credo che la nostra vocazione sia quella di candidarsi in politica, cosa peraltro legittima. Sono convinto sia necessario divulgare la legalità con azioni che abbiano ricadute nella quotidianità. Il mio lavoro e quello di mi sta accanto non deve essere visto come qualcosa di anomalo, ma come testimonianza concreta di chi svolge il proprio compito con gioia e dedizione massima. Purtroppo, la verità spesso da fastidio e questo è uno dei vari drammi di questo Paese. Un pensiero, infine, voglio riservarlo per il nostro presidente onorario Nino Di Matteo, il magistrato palermitano impegnato nelle indagini sulla Trattativa e già condannato a morte dalla mafia: non so se il clima sia lo stesso di quello che precedette le stragi di Capaci e Via D’Amelio ma una cosa è certa i ritardi sulla assegnazione del bomb jammer non sono certo un buon segnale a garanzia della legalità!