Capita raramente di vedere così ben rappresentato l’incatenamento di una relazione che paralizza il discorrere della vita matrimoniale della coppia Vanda (Vanessa Scalera) e Aldo (Silvio Orlando), in scena nello spettacolo “Lacci” tratto dal romanzo di Domenico Starnone, firmato dal regista Armando Pugliese, al Teatro Bellini fino all’11 dicembre. I protagonisti sono lì tra quelle mura imprigionati con quel dolore che diventa assordante rumore e che viene provocato quando si spezza un matrimonio: un trauma che crea disorientamento, incertezza, che provoca domande senza risposte. In “Lacci” tutti gli interpreti sono eccellenti. Colpisce in particolare la rassegnazione soffocante di Silvio Orlando che ritorna a casa dopo aver rincorso la fresca passione di una giovane che ti fa sognare al di fuori delle responsabilità coniugali. Ma anche quell’accorato appello a tornare di Vanessa Scalera che si trasforma poi in cupa ossessione di paura della luce. Altrettanto bravi e convincenti gli altri protagonisti: da Roberto Nobile, Sergio Romano, Maria Laura Rondanini, a Giacomo de Cataldo. Una partitura narrativa con tante variazioni sul tema della sofferenza che fa appunto tanto rumore, che scava meticolosamente dentro i personaggi, li annienta, li esalta, li schiaccia, li obbliga a ritornare sui loro passi anche quando sembrano decise le loro scelte. Forse la chiave di volta sta in quella frase della lettera, all’inizio dello spettacolo, che Vanda scrive ad Aldo: «Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie». Si può ritornare sui propri passi ma cosa si perde e cosa si acquista?
Descrizione spietata di un sistema relazionale avviluppato su se stesso che coinvolge i figli che a quel sistema non sono estranei anzi diventano strumenti e complici di variegate forme di sadismo e di masochismo che scagliano contro se stessi.
Alla fine anche nel loro serrato dialogo i due figli, Sandro e Anna, non hanno mezzi termini nel dire: “I nostri genitori ci hanno rovinati”. L’efficacia della regia gioca su più piani, sui contrasti di colore e di spaccati familiari, su una vita che poteva essere travolta dalla passione a cui Aldo rinuncia schiacciato dai rimorsi e da ciò che ha causato. Ma che pure si autoimpone in modo crudo la rinuncia alla felicità, senza però riuscire a far tacere la paura che di nuovo può travolgerlo e faccia ancora tanto rumore. Le scene sono di Roberto Crea, i costumi di Silvia Polidori, le musiche di Stefano Mainetti, le luci di Gaetano La Mela, la produzione di Cardellino srl.
Ci si può specchiare in questa emozionante e aggrovigliata storia di tutti i giorni. Da non perdere!