La libertà è un argomento che da sempre ha impegnato l’uomo nella storia. E’ un tema antico che nasce con il sorgere stesso della convivenza umana. Ho appena finito di leggere un libro che è quasi come un diario di bordo dove l’autore annota «considerazioni sulla condizione della libertà nel nostro tempo: il suo funzionamento nella socialità, nei media, nelle istituzioni, nelle ideologie, ambiti in cui agisce il pensiero unico, il politicamente corretto, il principio dell’ugualitarismo, il criterio ortopedico di correggere il pensiero altrui». L’autore di queste riflessioni di presentazione è Giancarlo Ricci, psicoanalista, un professionista stimato e conosciuto a Milano, dove esercita da oltre quarant’anni, membro analista dell’Associazione lacaniana italiana di psicoanalisi, esperto di Freud, giudice onorario presso il Tribunale dei minori di Milano, autore di diversi volumi di psicologia e decine di studi specialistici.
Il professore Ricci ha scritto un libro, «Il tempo della postlibertà. Destino e responsabilità in psicanalisi», pubblicato recentemente da Sugarcoedizioni (2019). E’ importante leggere questo libro, perchè il professore ha in corso, dal 2016, un Procedimento Disciplinare avviato dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia per le sue affermazioni pronunciate in una trasmissione televisiva, “Dalla vostra parte”, dove avrebbe fatto affermazioni che secondo i colleghi «possono realizzare discriminazioni a danno di alcuni soggetti», manifestando «un comportamento contrario al decoro, alla dignità e al corretto esercizio della professione». Nei cinque minuti in cui ha potuto parlare, Ricci ha affermato che «la funzione di padre e madre è essenziale e costitutiva alla funzione di crescita del figlio». Apriti cielo. Ha parlato della necessità di mamma e papà, senza usare l’onnicomprensivo e neutrale “genitore”: «In materia di parole l’ideologia va per le spicce – afferma Ricci – secondo l’accusa quanto ho detto risulta discriminatorio non solo nei confronti delle coppie omosessuali o delle famiglie arcobaleno ma anche nei confronti di quelle famiglie che si ritrovano senza un padre o senza una madre, sebbene né i primi né i secondi fossero oggetto della mia affermazione. La malafede è evidente, – racconta Ricci – la logica di questo paralogismo è tale che se qualcuno affermasse che “l’uomo per vivere deve mangiare” potrebbe essere accusato di discriminare coloro che non hanno nulla da mangiare».
Il professore racconta la sua vicenda, documentando i tratti essenziali, nel I° capitolo. Una vicenda che per le accuse rivolte al professore, assume i caratteri ideologici, formulate e sostenuti da alcuni consiglieri dell’Ordine. Nel frattempo in questi tre anni sono arrivati all’ordine esposti sottoscritti da simpatizzanti LGBT, «ossessionati dalla minuziosa verifica se il sottoscritto pratichi o meno la cosiddetta terapia riparativa, vero discrimine deontologico, teorico e scientifico che assilla il mondo della psicologia».
Ricci comprende che la “terapia riparativa” del prof Nicolosi, dà molto fastidio all’omosessualismo, che sostiene che si nasce omosessuali e non si diventa. A Ricci questa tesi sembra un po’ razzista. Però qualche obiezione può essere mossa: «il punto è quello di difendere un principio sacrosanto attinente alla libertà di scelta di un soggetto: ciascuno può prendersi cura del proprio disagio psichico nel modo che ritiene opportuno. Se questo principio venisse meno saremmo in una dittatura. Verrebbe meno una libertà fondamentale».
Il professore confuta tutte le accuse mosse nei suoi confronti sia dei consiglieri dell’Ordine dei psicologi, che dei militanti LGBT (acronimo che dovrebbe essere allungato per il professore, in quanto subentrano altre tendenze alternative di vivere il sesso). In particolare il professore sottolinea «[…]l’intento punitivo e di intimidazione spicca in modo così evidente da stravolgere le leggi della logica e della linguistica attribuendo all’incolpato (così sono chiamato nella delibera) frasi e concetti che questi non ha mai pronunciato. Si avvia dunque un processo alle intenzioni che avanza con passo didattico e ortopedizzante». Una volta si diceva, «colpirne uno per educarne cento».
Praticamente il professore si sente ostacolato nella propria e singola libertà, che è una libertà sociale che appartiene a tutti. Scrive Ricci, «qui la libertà del singolo viene colpita perché in termini sociali potrebbe sollecitare altri soggetti a esprimere liberamente la propria opinione. Insomma è pericoloso. Ritorniamo alla massima: colpirne uno (esemplarmente) per (sperare di) educarne cento».
Il professore in questi tre anni si sta interrogando sul funzionamento della libertà in Italia. Seguo l’introduzione al suo libro: «che ne è della libertà di parola e di pensiero?» Si domanda Ricci. «Come funzionano i meccanismi che fanno di tutto per ostacolarla o per imbavagliarla? In nome di che cosa tanto scrupolo? In nome di quale verità scientificamente corretta?».
Ecco il libro di Ricci prende le mosse da questi interrogativi. Il nostro tempo sembra poter fare a meno della libertà a favore del principio cinico dell’autodeterminazione e dell’autofondazione narcisistica.
Il II° capitolo si occupa dell’attuale stato della libertà, come funziona nella società, nei media, nelle ideologie dove agisce il pensiero unico e il politicamente corretto.
L’uomo del Novecento si accorgeva di perdere la libertà e combatteva una guerra totale contro questa perdita. «Era una guerra totale e totalitaria», scrive Ricci.
Oggi nella società postmoderna e globalizzata, viviamo nel carnevale della libertà, dove pubblico e privato si rovesciano e si confondono, mentre il virtuale e il reale si compattano.
Per Ricci siamo entrati nel tempo della postlibertà, dove la libertà è inflazionata, dove è stata pluralizzata a piacimento, «rendendola indifferente od obbligatoria a seconda delle circostanze». Pertanto,«l’uomo contemporaneo crede di essere libero e di avere a portata di mano qualsiasi scelta. Ma quando tutto è possibile la libertà implode, si svuota dal suo interno e muore di troppa libertà». Una libertà assoluta senza limiti, diventa mortifera.
In questo senso i temi dell’omosessualismo, della “rivoluzione gender”, del diritto al matrimonio omosessuale, della richiesta dell’adozione e della possibilità di poter avere un figlio tramite l’utero in affitto, rappresentano oggi gli emblemi di nuove libertà. Tutte questi diritti si basano su due presupposti: il primo è «quello di pretendere che un desiderio individualistico venga accolto, che attraverso una dimensione giuridica possa essere pensato come realizzabile e che infine possa essere socialmente riconosciuto». Un desiderio che dev’essere legalizzato da una legge. Il secondo, è che si fa credere al soggetto che è libero di scegliere i propri diritti, aprendo la strada a dei nuovi diritti, con uno spostamento costante del limite imposto dalla natura. Ma questi diritti, «si basano tuttavia su presupposti e logiche un po’ perverse, – secondo il professore -, la logica delle cose e della “natura” vengono rovesciate sul presupposto che un desiderio individualistico debba essere riconosciuto da un dispositivo giuridico che lo renda possibile. L’individuo così immagina di essere libero, di scegliere i propri diritti, di utilizzare quelle “nuove libertà” immesse sul mercato dalle biotecnologie che promettono di superare i limiti della natura. «Ma le nuove libertà, proprio come al mercato, prima o poi si pagano. Ed è il destino di una civiltà a pagarle, in nome di una sorta di anonimato della responsabilità. Che prezzo ha la libertà che ci viene offerta abbondantemente? Ma soprattutto, quale libertà riceviamo?» Scrive Ricci.
Il libro del professore è ricco di spunti interessanti come il discorso sul Politicamente corretto, possiamo dire che l’omologazione è come un bulldozer che maciulla tutto ciò che incontra sul suo cammino: lingue, culture, consuetudini millenarie. Il nostro modo di pensare deve adeguarsi al principio della “pari opportunità”, come se i pro e i contro individuati dalla nostra ragione potessero magicamente equipararsi.
Pertanto ogni verità, seppur soggettiva, verrebbe annullata da una contro-verità. «Ma se una verità è uguale a un’altra, – per Ricci – tutto si azzera, non possiamo più giudicare. Ecco il carnevale delle libertà: rinunciate al giudizio o all’istanza di verità, tanto è inutile, vincerà la finzione e il gioco trasgressivo di una virtualità che pretende di diventare legittima. Penso che gli effetti sociali saranno pesanti».
Contro questa strana ingegneria sociale, il professor Ricci consiglia di ripristinare il concetto di discriminazione.
Nel libro sostiene che discriminare significa innanzi tutto discernere, «termine che si situa agli antipodi del pregiudizio e che riguarda semmai il giudizio, sia esso intellettuale, etico o morale, che è altra cosa dalla condanna o dalla sentenza». Di sicuro se rinunciamo al giudizio la ragione collassa. E qui il professore fa un esempio di natura professionale: «se per esempio un soggetto non riesce a sbrogliare la matassa della propria vita psichica, matassa fatta di eventi, emozioni, pensieri, fantasie, essa si ingarbuglierà sempre più. La psicoanalisi suggerisce che in gran parte possiamo ritessere il destino della nostra vita e assumerci le proprie responsabilità, altrimenti il rischio è di credere a un destino già scritto. Tale fatalismo, questa volta davvero, funzionerebbe come una discriminazione assoluta».
Altra interessante riflessione è quella dell’autodeterminazione. Del resto che cos’è l’autodeterminazione? Per il professore è «Il mito dell’uomo che si fa da sé, che si ritiene esente da ogni debito simbolico e quindi da ogni responsabilità verso gli altri. È un abbaglio. Nell’ipermodernità l’autodeterminazione indica il trionfo dell’uomo che si crede libero, portatore di una libertà ritenuta “eroica” nella supposizione di averla fondata da sé. Che vorrebbe, in definitiva sconfiggere le leggi della natura utilizzando a modo suo gli “effetti speciali” della tecnologia».
In conclusione qual è lo scopo di questa pubblicazione? Facciamo rispondere il professore: «far sì che la libertà sia “bene detta”, elaborata e formulata cioè attraverso quelle parole autentiche con cui il paziente progetta il proprio bene. […]Il lavoro psicoanalitico punta a ritrovare il desiderio di progettare una libertà altra che ha il sapore di una conquista perenne. Invece, in questo tempo di libertà “male dette”, di rimasugli di ideologie che presumono di gestire un’ortopedia del pensiero mediante il politicamente corretto, viene da parafrasare l’aforisma di Kraus: «La libertà di pensiero c’è l’abbiamo, ora ci vorrebbe urgentemente un pensiero sulla libertà».
Domenico Bonvegna