Buonanno (Federico II): “Fanno più danni gli antinfiammatori senza ricetta che oppioidi che pochi prescrivono“
Cure palliative, un diritto del malato garantito da una norma mai applicata compiutamente. Il dolore cronico: “malattia di genere” responsabile di patologie cardiache, diabete, depressione. Se ne è parlato a Roma, durante la conferenza stampa di Motore Sanità, in occasione della Giornata Nazionale del Sollievo del 26 maggio 2023. In particolare il malato terminale ha diritto alle cure palliative, lo prevede una norma mai applicata compiutamente, la legge 38 del 2010. Solo un paziente su quattro, tra tutti quelli candidabili alla palliazione, arriva negli hospice, 2.500 letti in 230 strutture in Italia. Sono in gran parte adulti e anziani, ma non mancano i bambini: trentamila, per la precisione.
Lotta al dolore inutile, innanzitutto. Troppi i farmaci antinfiammatori consumati e prescritti nella gestione clinica delle patologie croniche, “malattie che nel dolore hanno una delle più gravose espressioni cliniche e che potrebbero giovarsi più appropriatamente dell’uso di varie classi di oppiodi che, in mani esperte e nelle nuove formulazioni ottengono buoni risultati. Con effetti collaterali di facile gestione e minore tossicità a lungo termine”. Così Pasquale Buonanno, ricercatore e Docente di Terapia Antalgica e Anestesiologia alla Federico II, che ha aperto a Roma la tavola rotonda promossa da Motore Sanità per accendere i fari sui 13 milioni di pazienti italiani sofferenti di cui soltanto 8 in carico al Ssn. “Mentre i Fans (Farmaci antinfiammatori non steroidei) – ha sottolineato il docente – sono spesso dispensati senza ricetta medica e prescritti per mesi in soggetti anziani e fragili con conseguenze sulla coagulazione (rischio emorragico), una notevole tossicità epatica e renale, per gli oppiodi, che in mani esperte sono più efficaci e con minori effetti collaterali persistono diffidenze culturali e si assiste a una ridotta prescrizione, a una scarsa conoscenza, a una scarsa formazione della medicina primaria nel loro uso e dunque a un largo sottoutilizzo nelle varie discipline mediche specialistiche”.
Resistenze culturali, ritardo formativo, inadeguatezza delle reti ambulatoriali e ospedalieri Hub e Spoke si traducono in pochi trattamenti del dolore per chi se ne può giovare. Basta un solo dato: il consumo pro-capite di oppioidi in Italia ammonta a 1,6 euro annui in Italia, 5 euro in Europa e 10 in Germania. Si calcola in 3 mesi il lasso di tempo entro cui una patologia, si cristallizza in un dolore cronico.
GLI INTERVENTI
Al dibattito sono intervenuti Lavinia Mennuni senatrice del gruppo di Forza Italia, Andrea Casu parlamentare del Pd, l’ex ministro e senatrice Beatrice Lorenzin, la senatrice di Forza Italia Simona loizzo, Annamaria Parente, presidente Commissione Sanità XVIII Legislatura al Senato, Enrico Rossi Relazioni con le Regioni – Motore Sanità – (già presidente Regione Toscana), Federico Casale di Antea, Raffaella Pannuti, presidente Ant, Michele Sofia, direttore Sanitario Ats Bergamo.
Da non trascurare il dato degli accessi impropri in pronto soccorso determinati da una mancanza di una rete territoriale per il dolore e l’insufficienza delle reti hub e spoke di cnetri per il trattamento del dolore. “Quando il dolore pendere il suo nesso con la patologia che lo ha causato diventa una entità clinica autonoma che incide su tutte le fragilità della persona e invade la vita sociale e lavorativa del paziente” avverte Michele Sofia. “Non siamo all’anno zero – ha poi sottolineato la Lorenzin – già prima del mio mandato sono state emanate leggi e norme su questa materia e nel 2017 aggiornati i Lea inserendovi le cure palliative. Esiste però un 41% di pazienti che avrebbero diritto a usufruire di terapie e non le hanno. Dobbiamo continuare a lavorare per scardinare reticenze e timidezze di alcuni sanitari a prescrivere la terapia del dolore. Un passo avanti sul fronte della formazione è stato fatto istituendo una scuola di formazione ad hoc. Fari puntati dall’Ant sul diritto del malato terminale alle cure palliative: “Una norma mai applicata compiutamente, la legge 38 del 2010 – ha detto la Pannuti – solo un paziente su quattro, tra tutti quelli candidabili alla palliazione tra cui 30mila bambini”.
I NUMERI
Il 19% degli uomini e l’11% delle donne affetti da dolore cronico in Italia attendono fino 10 anni prima di ottenere un corretto inquadramento diagnostico del proprio dolore – avverte quest’ultimo – il 17,7 % degli Italiani si è rivolto a più di 5 medici prima di riuscire a trovare uno specialista che sia stato in grado di inquadrare e risolvere il proprio problema. Nel nostro Paese l’11,8% dei pazienti affetti da dolore cronico non riceve alcun tipo trattamento, percentuale ben al di sopra degli standard europei e circa il 20% della popolazione generale, percentuale che sale ad oltre il 50% nella popolazione anziana, in Italia è affetto da dolore cronico. A ciò si aggiunge la scarsa conoscenza da parte della popolazione della terapia del dolore: il 25 % dei pazienti con dolore cronico non ha mai consultato uno specialista algologo, il 15 % non è a conoscenza di questa figura medica”.
I pazienti insomma giungono alla terapia del dolore con estremo ritardo dopo aver tentato strade infruttuose. I nodi irrisolti: Incompleta attuazione della legge 38/2012 (nonostante siano trascorsi più di 12 anni) e ad una scarsa conoscenza della terapia del dolore e delle opzioni terapeutiche da parte degli stessi medici che dovrebbero orientare il percorso diagnostico-terapeutico del paziente le cause principali di questo gap. Costi diretti annui a carico del Sistema Sanitario Nazionale pari a 1400 euro per ciascun paziente (in termini di farmaci, ricoveri e diagnostica) e 3200 euro di costi indiretti (perdita di giornate lavorative e distacchi definitive dal lavoro), con una spesa annua a carico del Servizio sanitario di circa 11 miliardi di euro (circa il 10% della spesa sanitaria nazionale). A questo costo va aggiunta una perdita di produttività difficilmente calcolabile legata alla riduzione del rendimento di quei pazienti che, nonostante il dolore, continuano a svolgere il proprio lavoro”. Prendere in carico un paziente significa pianificare il suo percorso diagnostico-terapeutico attraverso un approccio multidisciplinare da cui la terapia del dolore non può prescindere.