Ci risiamo. Nella nostra Pozzuoli, un’altra assurda storia di amore degenerato in perversione criminale. Un uomo di quaranta anni che dà fuoco alla sua compagna trentottenne incinta di otto mesi: di fatto ne ha incendiate due di persone. La bambina praticamente era pronta, era fuori, tant’è che i medici l’hanno fatta nascere, ed ora vive e sta bene.
Qualche giorno fa ho ricevuto un post su facebook. Dice così: Che poi il problema più grave non sono le unioni civili, ma le separazioni barbare. Non vogliamo certamente stabilire una priorità tra le due cose, o credere che ci sia un legame tra chi si oppone alle unioni civili e chi si fa protagonista di separazioni barbare. Però un nesso vogliamo provare a cercarlo tra la paura del diverso, la paura del nuovo, l’assenza di disponibilità ad accettare e riconoscere la libertà altrui, e la mancanza di una sufficiente educazione in materia di vita affettiva e sentimentale.
L’incapacità a separarsi da una relazione sentimentale, e a riconoscere la libertà altrui; o semplicemente a riconoscere l’individualità della vita emotiva altrui pur confermando e affermando l’esclusività di stare in una relazione di coppia, è cosa che può essere appresa, esercitata ed educata. E ci proietta nel rispetto e nella civiltà.
E invece no, il nostro uomo ha fatto tutto da sé: nella sua insofferenza e inquietudine ha letto un indizio; ha fatto il tribunale; ha emesso una condanna, ed ha dato luogo all’esecuzione della pena: il rogo. Non una compagna ha considerato, ma una strega malefica nell’incubo paranoico dell’ Inquisizione. E lui s’è fatto giudice inquisitore e boia. Il nostro uomo (ma questo è un uomo?) è regredito almeno di cinquecento anni (come giudice inquisitore), ma almeno di ventimila anni come barbaro boia.
E non siamo nemmeno (ancora) sicuri che questa volta si tratti della incapacità di accettare una storia finita. Forse questa volta il rivale non è un altro uomo, forse è solo il confrontarsi con una nuova realtà, forse è solo la difficoltà/incapacità ad accettare di non essere più al centro delle attenzioni della sua donna. Forse questa volta il rivale è semplicemente l’altro, il terzo. Che però in questo caso è il figlio che stava per nascere. E lui perde la centralità. E la vive come un distacco intollerabile. E reagisce in maniera barbara ad una separazione che è solo maturativa.
Ci chiediamo ora se quest’uomo (perché è un uomo, uno di noi) si renderà conto che è il procreatore di questo bambino, e se avrà mai la sensazione di essere il padre di questo bambino, e il desiderio di farlo. Ma che padre potrebbe essere uno che vive nella preistoria, ad almeno trentamila anni di distanza, in una condizione di barbarie emotiva e di comportamento? Che non ha posto alcuna barriera tra il suo barbaro istinto e la soppressione della sua donna.