Porta la luce in tutto il mondo. Anche nelle zone più critiche. Anche dove le reti di connessione non esistono e la corrente elettrica è risorsa che appartiene al mondo dei sogni. La Coelmo, azienda che nasce nel 1946 ed oggi ha all’attivo tre stabilimenti tra Napoli e Caserta,produce gruppi elettrogeni industriali e marini. Alla innovazione di processo e di prodotto dedica un investimento costante in ricerca e tecnologia, per sviluppare soluzioni innovative che “combinano l’affidabilità delle fonti energetiche tradizionali con la sostenibilità delle energie rinnovabili”. Così ha conquistato un ruolo di leadership e importanti quote di mercato in diverse applicazioni quali il settore telefonico, quello petrolifero, il supporto per le operazioni militari o le organizzazioni umanitarie. Nell’ambito del comparto marino, i suoi prodotti figurano sia sulle navi commerciali che nelle imbarcazioni da diporto…
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Il racconto che avevo in mente la mattina in cui dovevo incontrare Stefania Brancaccio -laureata in lettere e filosofia presso l’università Federico II di Napoli, poi specializzata in psicopedagogia dell’età evolutiva presso il Magistero di Torino, cavaliere del lavorovicepresidente dell’azienda – era tutto incardinato sui successi dell’impresa. Dove sta quali sono i requisiti che fanno della Coelmo un’azienda eccellente. La crescita e i risultati, sul piano tecnologico e commerciale. Quindi i muscoli tirati a lucido al punto da essere già in linea, per molti versi, con i fondamenti di Industria 4.0.
Arrivo alla Coelmo in una splendida giornata di sole, di quelle che danno calore anche al più freddo e compassato contesto industriale di ferro e cemento. Ahimé il giorno è giusto, l’ora invece no. Per un malinteso, un disguido, uno spiacevole equivoco, l’appuntamento era fissato… per: due ore prima. Mi scuso, imbarazzato. Faccio per tornare sui miei passi,mentre penso che forse mi sarà concesso tornarechissà quando: e me lo sono meritato. E invece…
Invece no. Mi viene giovialmente impedito di andar via. “Venga con me –dice la dottoressa Brancaccio con un sorriso – il tempo per parlare lo troviamo”. La seguo. Ha un tocco di leggerezza e di grazia nel modo di fare che è un suo speciale tratto distintivo. Una gentilezza che è quintessenza della Napoli migliore, la migliore di sempre. Entro al suo seguito entro un’ampia stanza da riunione, con al centro un tavolo su cui troneggiano pasticcini e brioche.Mi trovo catapultato in un convito di giovani. “Abbiamo due compleanni oggi in azienda – mi spiega -.Ecco, festeggi assieme a noi…”.
Una ventina di giovani, ingegneri, tecnici. Sono al cospetto del cuore dell’impresa, che qui ha un requisito speciale, che scopro ben presto. Qui il cuore dell’aziendanon batte per conto suo, non corre dietro i traguardi del business. Va all’unisono con le persone che vi lavorano.
Al midollo,la Coelmo è questa cosa qui: condivisione. Una rarità.Che coinvolge anche me, curvando le domande in una direzione insolita.
Ne vien fuori così un colloquio del tutto originale, che mi permette di toccare con mano la dimensione identitaria dell’azienda, al di là dei primati e dei risultati di bilancio.Al di là dei numeri, che sono le armi che esibiscono tutti. Coelmo coi suoi 70 anni di esperienza. Coelmo col suo sistema di certificazioni. E poi?
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Se Coelmova annoverata tra le impese eccellenti del Sud, ed è certo merita la menzione, lo fa in una maniera del tutto speciale. Una maniera difficilmente ripetibile. “Tutto ciò che facciamo deve essere al di sopra delle aspettative”, si legge in cima al “Pentalogo dei valori” aziendali. E il secondo comma aggiunge: “Essere disposti ad adottare il cambiamento”. Principi fondamentali di una tavola della legge che fa di un’aziendaun caso.
Ma non basta. Mentre pendo appunti mi vengono in mente le sei qualità che Italo Calvino ritiene degne, in “Lezioni americane”, di traguardare il millennio.Tra le quali forse la più esaltante è la leggerezza.Questa è tutta dentro la voce e le movenze del cavaliere del lavoro Stefania Brancaccio.Poi occorre aggiungere due altrechiavi di lettura:la rapidità e la consistenza. Il racconto di questa azienda scorre come un fiume dentro queste due sponde. La rapidità è tutt’uno con un sistema che permette a qualsiasi cliente, in qualunque parte del mondo risieda, di entrare virtualmente nel suo magazzino e di rifornirsi in totale autonomia di quello di cui ha bisogno.Alla velocità della luce, quindi.Con un metodo non diverso da Amazon per i libri. I cataloghi sono sfogliabili direttamente on line. E ancora, la consistenza. Ciò che ne fa una realtà industriale davvero speciale è un certo qual imprinting che la rende… “consistente”. Qui responsabilità sociale non è uno slogan, perché qui c’è corrispondenza tra le parole e le cose. Se la mission è “creare una azienda che sviluppi le aspirazioni personali e il benessere di tutti”, tra queste mura essa viene prima del business fine a sé stesso.
L’orizzonte, è la fabbrica come luogo di “giustizia e di progresso, dove si fa luce la bellezza”. La bellezza di Coelmo è di essere eccellente non solo verso terzi e agli occhi esterni, quantoanzitutto verso i primi, verso i propri: i suoi lavoratori e, soprattutto, lavoratrici. E’ l’azienda per prima che aspira a divenire luogo di eccellenza in cui lavorare, puntando dritto a una qualità che non è attestabile coi certificati ISO.
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Qui vige, e non è certo un caso, il “Manifesto per l’uguaglianza e la valorizzazione delle differenze di genere”, che si traduce tra l’altro nello sforzo di “garantire l’assenza di atteggiamenti violenti o coercitivi ad esempio stalking e mobbing” volti a scoraggiare la libera espressione delle donne e degli uomini”. Fa ricordare le conquiste ante litteram delle Seterie di San Leucio. Di più. Stefania è la moglie del presidente e fondatore, Domenico Monsurrò, madre dell’amministratore delegato Marco Monsurrò. Ma è arrivata al comando studiando e lavorando, “non come moglie di”. Dall’alto della posizione privilegiata, ha saputo concepire una modalità differente di gestione della autorevolezza gerarchica. Ha pensato agli uomini e alle donne della sua azienda da donna. Da madre. Sicché prima si occupa del settore estero dello stabilimento, poi ne diviene direttore e quindi vicepresidente.Va pròorgogliosa anzitutto di aver introdotto in azienda anzitutto la conciliazione di tempi di vita e lavoro. “Non abbiamo un vero asilo nido – spiega – ma un baby parking per accogliere i bambini quando le scuole sono chiuse e poi voucher orari per i dipendenti, sportelli di ascolto e di mediazione famigliare”.
Ci fu un giorno in cui capì che anche alle sue dipendenti serviva tempo, la possibilità di gestire il tempo, per poi restituire tempo all’azienda con pienezza di partecipazione. E allora ha deciso di dargliela. “Non chiedono permessi a me – aggiunge – ma devono imparare un agire donativo”. Imparare che un’azienda è “un noi”.
L’eco di Adriano Olivetti risuona, convinto che lavorando tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini, si partecipa ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica finendo per amarla.“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?” Se lo chiedeva l’imprenditore di Ivrea, alla costante ricerca di una destinazione o vocazione superiore della vita d’impresa. La stessa che è evidente in qualsiasi meritorio tentativo, a cui Coelmo non si sottrae, di fare del lavoro non una desolante iattura, ma una possente forza spirituale.