Nella struttura sanitaria pubblica le salme delle persone decedute venivano depredate nell’obitorio dei gioielli indossati al momento del decesso. Colpevole l’addetto al servizio mortuario che si appropriava di monili e gioielli indossati dalle salme che gli erano state affidate (peculato) e che inoltre accettava compensi in denaro da un’impresa di pompe funebri “ al fine di favorire l’acquisizione di clientela da parte dell’impresa stessa (corruzione).
Nel 2008 il becchino veniva condannato in sede penale alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione per i reati di peculato (art. 314 c.p.) e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.). la condanna veniva confermata in appello e diveniva irrevocabile nel 2012.
Il Procuratore della Corte dei Conti in considerazione della notorietà della vicenda attenzionata dalla stampa che ha compromesso il prestigio dell’Azienda nonché del rapporto di fiducia tra la stessa ed i cittadini, ha chiesto la condanna del necroforo ad euro 12.840,00, di cui euro 5.000 per il danno d’immagine derivante dal reato di peculato ed euro 7.840,00 per il danno d’immagine derivante dal reato di corruzione, quest’ultimo importo corrispondente al doppio delle illecite dazioni di denaro che sono emerse in istruttoria essere state corrisposte all’impresa di pompe funebri.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale del Friuli Venezia Giulia con sentenza del 17 febbraio 2015 ha condannato il becchino all’importo richiesto dal Procuratore.
Precisa la Corte il primo importo (5.000 euro) quantifica infatti in modo adeguato e senza eccessi (trattandosi di illecito commesso da un soggetto operativo ad un livello funzionale non elevato) il danno d’immagine conseguente al peculato.
Il secondo importo (7.840 euro), relativo al danno all’immagine conseguente al delitto di corruzione, anticipa equamente la misura presuntiva del danno all’immagine stabilita dal comma 1-sexies dell’art. 1 della L. n. 20 del 1994, aggiunto dal comma 62 dell’art. 1 della L. n. 190 del 2012, che recita “nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa Pubblica Amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
Enrico Michetti