Adesso che il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi sta per diventare un ex. Adesso che ha annunciato l’intenzione di gettare la spugna a Porta a Porta. Adesso che le intercettazioni lo hanno trascinato in una tempesta mediatica facendolo apparire come il disinvolto terminale di un vorticoso giro di favori, alla meglio un ostaggio nelle mani dei boiardi e dei burocrati di Stato che gestiscono gli appalti più succosi dell’intero sistema della spesa pubblica. Il momento è MO, come recita uno slogan che oggi va per la maggiore. Il momento è ADESSO.
Quale migliore occasione avremo nei prossimi mesi per un rimpasto del governo Renzi, sulle cui ginocchia giace da tempo la pratica per insediare un responsabile al ministero degli Affari regionali dopo le dimissioni pretese a muso e ottenute a stretto giro da Maria Carmela Lanzetta? Adesso c’è l’opportunità di portare al Ministero delle Infrastrutture un uomo di Renzi e c’è da scommettere che il premier non se la lascerà sfuggire. Si parla di Lotti o di Debora Serracchiani, forse addirittura Raffaele Cantone che è stato indicato come possibile commissario per Bagnoli e viene chiamato in causa come pezza a colore ogni volta che nella trama dei poteri e degli affari si apre uno strappo.
Renzi ha in mano la matta e comanderà il giro. Ma l’occasione è buona anche per rimettere in pista il Ministero per il Mezzogiorno, una specie di supercommissariato ai Fondi europei per la coesione, magari affidato alle cure di Anna Finocchiaro o a Gaetano Quagliariello, se nel giro di valzer si vuole rispettare la priorità acquisita da Ncd.
Ma sul Mezzogiorno Renzi perde sicurezza. Nei mesi scorsi non ha fatto che inanellare una serie di stop and go, un alternarsi frenetico di euforia efficientista e apatia che ha fatto parlare di un andamento curiosamente ciclotimico (Isaia Sales). Sul Mezzogiorno Renzi nicchia e se si chiede ai ministri e ai politici più vicini a lui perché il governo indugia persino a mettere in pista sul serio l’Agenzia della coesione territoriale (da mesi ferma al palo della nomina del solo direttore), non c’è uno che abbia una risposta degna di essere raccolta e pubblicata. Né il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, né il ministro all’economia Padoan e men che meno il consigliere economico del premier Yoram Gutgeld, che recentemente è stato a Napoli e si è nascosto dietro il piano per la banda larga, che tanti vantaggi porterà anche al Mezzogiorno ( e ci voleva…).
Tutti balbettano e si arrampicano sugli specchi. Si schermano – al massimo – dietro il tormentone dei Fondi europei che il Sud non sa spendere. Se il Sud non si sveglia e si dà da fare lui per primo, chi volete che lo assista?
Paradossale questo passaggio. L’Agenzia per la coesione territoriale fu concepita proprio per andare in soccorso agli enti locali e alle Regioni del Mezzogiorno in ritardo sui progetti europei. Ammesso (e non concesso) che i ritardi siano da attribuire alla incapaci delle classi dirigenti meridionali di fare i compiti difficili come i progetti complessi in tema di infrastrutture, reti, connessioni logistiche, energia…. Non sarebbe questo un buon motivo per far scendere in aiuto il Settimo Cavalleggeri? Un’ampia e strutturata task force supertecnica in affiancamento…
Se questo non avviene, se non si fa decollare la Agenzia in maniera stabile e definitiva, che vuol dire? Che forse è tutta una recita, perché il Sud non merita altro che essere abbandonato al proprio destino. Simile alla deriva a cui l’Europa a guida teutonica ha lasciato la Grecia: c’è sempre un Sud più Sud…
Ma se il Sud è divenuto oggetto di un gioco di simulazione/dissimulazione mediatica, in attesa che il Nord ricomincia a correre e lo trascini con se come vagone di coda mal sopportato, allora è l’Italia che vuole segnare il suo destino di crescita/decrescita a decimali sempre prossimi allo zero. L’Italia conferma che ha per obiettivo un lento declino.
Da venti anni in qua, tutte le politiche nazionali sono state costruite contro il Sud e il risultato è che l’Italia ha smesso di crescere da un decennio, cominciando a perdere colpi ben prima della crisi del 2008.
Se oggi vuole continuare con politiche nazionali concepite “senza il Sud”, si accomodi. Ma è bene sapere che questa scelta sarà infausta non solo entro i confini meridionali, ma per l’Italia intera. Mezzogiorno e Italia sono legate al medesimo destino. Sarebbe banale dirlo se non fosse che la politica nazionale è diventata una sorta di opera di teatro dell’assurdo che non riesce a stare alla pari nemmeno al monologo del ventre e delle membra di Menenio Agrippa. Il Mezzogiorno è Italia. E se il Sud non è messo in condizione di recupere Pil, gioco forza trascinerà verso il basso anche il resto del Paese. Lasciandolo languire assieme ai suoi problemi oltre ogni ragionevole limite, come fa il governo Renzi, equivale a fare il possibile per far cadere lo sgabello su cui l’Italia ancora sta in piedi, mentre ha al collo il nodo scorsoio della recessione.
Segare il Sud per salvare il Nord, equivale a segare il ramo su cui il Nord prima di tutto sta seduto.
Ma è così difficile da capire?