“Una società che non offra alle nuove generazioni sufficienti opportunità di lavoro dignitoso non può dirsi giusta (…) le comunità ecclesiali, a fianco delle istituzioni, si adoperino con dedizione per ricercare soluzioni adeguate alla piaga sempre più estesa della disoccupazione giovanile e del lavoro nero…”. Cita il messaggio di Papa Francesco l’avvocato Giuseppe Brandi, per commentare il forte rilancio del rapporto Chiesa – giovani – lavoro, dopo il convegno organizzato a Napoli l’8 e il 9 febbraio scorso. Esperto di impresa sociale, il Sudonline lo ha intervistato.
L’attenzione della Chiesa Cattolica per il Sud Italia, rilanciata di recente a Napoli, è un contributo forte a rimettere il Mezzogiorno al centro del dibattito su sviluppo e crescita.
Si certo, anche se si tratta di una attenzione che, se consideriamo anche il tema lavoro, risale all’immediato dopoguerra. Nel 1948 il primo documento dei Vescovi del Sud, intitolato “I problemi del Mezzogiorno” nel quale, tra l’altro, si parla del lavoro e delle condizioni lavorative dei braccianti.Risale al 1989 Quarant’anni dopo, nel 1989, la Chiesa torna ad occuparsi di tali tematiche, e nel documento: “Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno”, dichiara apertamente che: “Il problema della disoccupazione giovanile meridionale si configura come la più grande questione nazionale degli anni novanta”.
Un giudizio che potrebbe essere replicato anche oggi. E quasi senza nulla mutare…
Aggiungo che nel 2009, quindi, i Vescovi italiani si diedero appuntamento a Napoli per riprendere la riflessione sul cammino della solidarietà nel nostro Paese, con particolare attenzione al Meridione d’Italia e ai suoi problemi irrisolti.
Cosa emerse in quella fase che ancora non aveva conosciuto la grande crisi finanziaria?
Una sana autocritica. I Vescovi riconobbero di aver trascurato di formare nei fedeli una coscienza etica e sensibile alle responsabilità sociali, contribuendo così alla crescente disattenzione per la sfera pubblica e al disinteresse alla vita della comunità civile delle popolazioni meridionali.
Tali lavori diedero vita nel 2010 al documento: “Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”. Giusto?
Sì. Dove si denunciarono ancora una volta la gravità della mancanza di lavoro, soprattutto giovanile. E unirono l’auspicio di un grande progetto educativo orientato verso la cultura del bene comune, della cittadinanza, del diritto, della buona amministrazione e della sana impresa nel rifiuto dell’illegalità.
Un excursus prescrittivo, questo, che evidenzia una contrazione dei tempi in cui la Chiesa torna ad occuparsi del Sud, a dimostrazione della eccezionale crisi odierna.
I dati Istat, infatti, alla fine del 2016 rilevano che sono ancora i giovani a trovarsi maggiormente in difficoltà in ambito lavorativo: in Italia si registra un tasso di disoccupazione giovanile del 40% circa, e il 2017 vede nuovamente tra i meno fortunati i giovani, vittime di un lavoro eternamente precario.Al Sud le percentuali salgono.
E quale è la ricetta?
Se l’obiettivo del convegno – come ha detto il Cardinale Crescenzio Sepe – è quello di proporre un’alleanza Chiesa-Istituzioni per trovare soluzioni concrete, la Chiesa non può non fare la sua parte e favorire nuove opportunità lavorative. Questo è lo sbocco della “due giorni” alla Stazione Marittima di Napoli quando rappresentanti del mondo imprenditoriale – tra i quali l’imprenditore Marco Zigon, tra i mecenati del convegno –, del mondo sindacale e dei movimenti ecclesiali, hanno parlato di possibili proposte.
Vuole provare a sintetizzarle?
Intanto la Chiesa può contribuire ad alimentare una nuova proposta educativa, anche attivando iniziative di formazione a una nuova cultura del lavoro, può promuovere e sostenere l’imprenditorialità giovanile sul modello del “Progetto Policoro”, ma soprattutto, può mettere le proprie strutture (terreni ed immobili) a disposizione dei giovani che potranno creare, ad esempio, delle cooperative finalizzate alla produzione di beni e/o servizi nei settori dell’agricoltura, del turismo, dei beni culturali, etc. Un contributo considerevole può essere dato anche affidando edifici sacri ai giovani che, organizzati nelle forme giuridiche più adeguate, potranno utilizzarli per iniziative culturali o sociali creando così nuove occasioni di lavoro.
Ma che cosa occorre per fare in modo che questo programma vada avanti?
Occorre si una costante collaborazione con gli enti territoriali (comuni, città metropolitane, regioni), ma sarà anche indispensabile un salto di qualità dal punto di vista culturale. Occorre coinvolgere un numero sempre maggiore di imprese – dotate di figure professionali adeguatamente formate e qualificate – e la società civile nelle sue realtà associative (Terzo settore), ed invogliarle ad attuare buone pratiche, anche con azioni di reti territoriali e interaziendali.
Ed in tal senso lei, come avvocato, si sta adoperando in qualche maniera?
Ovviamente: insieme con l’Avvocato Annamaria Feola abbiamo già organizzato per il 23 Marzo c.a. un incontro – che si svolgerà in una sala del Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli – con l’ANS (Associazione Nazionale Sociologi) del Dipartimento campano al fine di dibattere, per l’appunto, sull’importanza e la delicatezza che sta assumendo la figura dell’avvocato in un momento di tale crisi socio-economica.