Di Trotula de’ Ruggero hanno cercato in tutti i modi di negare prima la sua esistenza, poi il suo sesso, poi s’è tentata la strada della mitizzazione. Le hanno cambiato il nome, è diventata Dame Trot per l’infanzia trecentesca inglese, è citata nei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer. C’è chi l’ha voluta innamorata del futuro re d’Inghilterra, qualcun altro l’ha fatta filosofa. Ha impiegato un millennio, Trotula, per essere finalmente riconosciuta prima ginecologa d’Europa, prima donna medico di rilevanza internazionale, colei che ha posto le basi della medicina per le donne.
Diminutivo di Trota (oddio il soprannome del figlio del Bossi) è la donna che entrò e si affermò nella scuola Medica Salernitana nell’anno Mille e qualcosa. Il libro di Pietro Greco, “Trotula” (L’asino D’oro Edizioni) con puntigliosità filologica, storica, scientifica, mette ordine fra i miti e le false verità in circolazione sulla quasi magistra. “Quasi” perché, nonostante l’ammissione delle donne nella scuola salernitana, le donne non potevamo ambire al titolo magistrale.
Nacque a Salerno nel 1030, o per lo meno è la data più probabile. E’ comunque acclarato che abbia vissuto il passaggio da longobardo a normanno della città che già s’era imposta, nella medicina, avendo fondato la Scuola che riuniva le conoscenze di quattro culture, greca, latina, ebrea e araba.
Queste contaminazioni favorirono l’approccio laico che contraddistinse gli studi e le pratiche di Trotula nella medicina e specificamente nella ginecologia. Fu la prima a individuare anche nei maschi la sterilità, attribuita esclusivamente alle femmine fino all’altro ieri. Affrontò e propose rimedi -certo con le conoscenze scientifiche del tempo- sul controllo delle nascite. Non aveva pregiudizi morali o culturali. In tempi in cui alle vedove non erano consentiti rapporti sessuali, scrive che l’astinenza forzata è dannosa. Considera naturali le pulsioni carnali dei maschi e delle femmine, prevede soluzioni anticoncezionali perché la soddisfazione del desiderio non deve creare pericoli per la donna. Si preoccupa insomma della salute e del benessere degli esseri femminili, bollati dalla Chiesa come ‘esseri inferiori”. Una rivoluzione.
I tentativi di ridimensionarla o di negare la sua esistenza sono andati avanti per secoli. Anche se i suoi testi circolavano in tutta Europa per tutto il XV secolo, nel 1566 ci pensa Hans Kaspar Wolf a oscurarla. Wolf pubblica a Basilea il De mulierun passionibus e lo attribuisce a uno sconosciuto autore del I secolo d.C., anche se nel testo si fanno espliciti riferimenti a personaggi vissuti nei secoli successivi. Una donna non può aver scritto un testo scientifico, insomma.
Il pregiudizio diventa una calunnia, venticello che stordisce le teste e i cervelli anche di medievalisti, di filologi, che individuano fino agli inizi del Novecento l’autore delle opere in Trottus: un maschio. Ci sarà bisogno nel 2008 della storica Monica Green, dall’Arizona taglia corto. Dimostra che a quei tempi né a Salerno né altrove è esistito il maschile del nome Trota.
Ringraziamo Pietro Greco per il cavilloso lavoro di contestualizzazione e comparazione delle fonti. Il giusto riconoscimento dell’opera e dell’identità di Trotula de’ Ruggiero è emblema della fatica che occorre alle donne per essere prese in considerazione. Soprattutto in Italia, paese nel quale la discriminazione di genere è cosa ufficiale e praticata. Ce la portiamo appresso nelle tasche, in borsa. E’ attestata sui documenti. Io mi chiamo Maria Tiziana, sulla carta d’identità c’è scritto nato il. Trottus o chi per egli accetterebbe di essere nata?
Maria Tiziana Lemme