Come avevamo ampiamente preventivato, prendendoci anche l’etichetta di “critica-tutto”, la prima applicazione della nuova legge sul voto di scambio, accolta da un coro di consensi entusiasti e di buona parte dell’antimafia istituzionale, si infrange sulle maglie larghe che la norma ha previsto. La riformulazione dell’art. 416 ter c.p. ha esteso l’ambito di applicazione, prevedendo oltre al denaro anche “altre utilità” come contropartita per il procacciamento di voti ed ha persino concesso un favore all’imputato prevedendo espressamente che i voti vengano procurati con “modalità mafiose”. La suddetta circostanza è divenuta assai difficile da provare concretamente, come avevo previsto evidenziandone i rischi e definendola l’ennesima occasione perduta per una repressione efficace del voto di scambio politico-elettorale-mafioso. Di tali discrasie cominciano a beneficiare i primi esponenti politici accusati di voto di scambio, delitto che da oggi torna a mostrare tutte le carenze che la legge dell’aprile scorso ha tentato inutilmente di colmare.
Condivido il pensiero del Procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi laddove afferma che la concezione che sta alla base delle norme sul nuovo voto di scambio distrugge tutto ciò che è stato fatto negli ultimi trenta anni di lotta contro la mafia e contro il suo potere elettorale. Non è ammissibile che ogni volta ci si debba chiedere di dimostrare il metodo mafioso, specialmente quando questo è insito nella perpetrazione della condotta stessa. Dobbiamo comprendere che non esiste una mafia stragista e una mafia politica queste sono due parti inscindibili dell’organizzazione. I mafiosi a cui ci si rivolge per ottenere voti sono gli stessi che commettono i reati più gravi all’interno dell’associazione criminale. Per lottare la mafia occorre che realmente lo Stato voglia farlo dispiegando – come diceva Giovanni Falcone – le migliori forze disponibili. Questa legge dalle prime applicazioni non mi sembra adeguata allo scopo.